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Santi del 31 Luglio

Il mio Santo > I Santi di Luglio

*Beato Andrea da Palazuelo (Miguel Francisco Gonzàlez Gonzàlez) - Sacerdote Cappuccino, Martire (31 Luglio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Cappuccini di Madrid, Asturias, Cantabria, Malaga ed Alicante" Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Beati 522 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Palazuelo de Torío, Spagna, 8 maggio 1883 - Pradera San Isidro, Spagna, 31 luglio 1936
Fr. Andrea da Palazuelo (Miguel Francisco González González) era nato l'8 maggio 1883 e lo stesso giorno aveva ricevuto il battesimo. A sedici anni entrò novizio nei Frati Minori Cappuccini, vestendo l'abito nel convento di Bilbao.
Era il 31 luglio 1899, data significativa perché nello stesso giorno del 1936 sarà ucciso in odium fidei. Terminato l'anno di noviziato emise la professione temporanea, mentre il 2 agosto 1903 si consacrò
per sempre al Signore emettendo la professione perpetua.
Il 19 settembre 1908 fu ordinato sacerdote e fu inviato come docente nello Studio dei Frati Cappuccini di El Pardo a Madrid.
Trasferito poi a Leon e successivamente a Bilbao, sempre come docente, nel 1920 tornò a Madrid come Arcivista provinciale e Cronista, incarico che manterrà, tranne un breve periodo di soggiorno a Gijón, fino alla morte.
Definitore provinciale, scrittore e ricercato direttore spirituale, durante i tragici momenti del Fronte popolare, il 20 luglio 1936 fu costretto a lasciare il convento di Madrid trovando alloggio con altri religiosi presso una pensione per sacerdoti.
Mantenendo la sua abituale serenità, ma dichiarando di non aver fatto nulla di male a nessuno, il 30 luglio 1936 fu arrestato e portato via dalla pensione.
Senza processo, ma unicamente perché religioso e sacerdote, la stessa notte fra il 30 e il 31 luglio 1936 fu massacrato e ucciso. La mattina del 31 luglio il suo cadavere fu trovato nel parco San Isidro. Portato al cimitero di Almudena fu sepolto in un luogo che non è stato possibile individuare.
Insieme ad altri numerosi martiri è stato beatificato il 13 ottobre 2013 a Tarragona in Spagna.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Andrea da Palazuelo, pregate per noi.

*San Calimero di Milano - Vescovo  (31 Luglio)

sec. III
Emblema:
Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: A Milano, San Calimero, vescovo.  
Nato da nobile famiglia, dopo un viaggio a Roma, fu consacrato prete.
Alla morte del vescovo di Milano, San Castriziano, di cui fu fedele coadiutore, San Calimero fu eletto dalla gente a succedergli.
L’episcopato di San Calimero si pone nel periodo che va dal 270 al 280.
La tradizione vuole San Calimero martire, in quanto gettato alcuni pagani in un pozzo dove trovò la morte.
San Calimero è sepolto nella basilica a lui dedicata a Milano.
Nel VIII secolo, nella cripta della basilica, le sue reliquie furono ritrovate in un pozzo, ancora oggi esistente, immerse nell’acqua.
Un tempo in occasione della festa del Santo, l’acqua del pozzo veniva distribuita ai malati.
La chiesa milanese commemora il suo quarto vescovo martire il 31 luglio.
Insieme agli altri Santi Vescovi milanesi, San Calimero è festeggiato anche il 25 settembre.

(Autore: Francesco Roccia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Calimero di Milano, pregate per noi.

*Beata Caterina di Lovanio - Monaca (31 Luglio)

XIII secolo
Nacque all’inizio del tredicesimo secolo da famiglia ebraica e il suo nome era Rachele. Avendo deciso, contro la volontà dei genitori, di abbracciare la religione cristiana, una notte abbandonò la sua casa e si rifugiò nel monastero di Parcum Damarum, presso Lovanio.
Qui, battezzata pubblicamente, le fu imposto il nome di Caterina e vestì l’abito cistercense.
Il padre tentò con ogni mezzo di farla tornare indietro, ma alla fine prevalse la volontà di Caterina, che poté trascorrere in pace il resto della vita, durante la quale ebbe estasi e visioni e
operò vari miracoli.
La sua morte avvenne nella prima metà del tredicesimo secolo.
L’Ordine Benedettino la festeggia il 31 luglio.
Nacque all'inizio del sec. XIII da famiglia ebraica, e il suo nome era Rachele.
Avendo deciso, contro la volontà dei genitori, di abbracciare la religione cristiana in cui si era istruita di nascosto, una notte abbandonò la sua casa e si rifugiò nel monastero detto Parcum Damarum presso Lovanio (Sainte Marie du Parc).
Qui, battezzata pubblicamente, le fu imposto il nome di Caterina e vestì l'abito religioso dell'Ordine cistercense.
Il padre, appreso ciò, tentò ogni mezzo affinché gli fosse riconsegnata la figlia, e sembra riuscisse con il denaro ad avere l'appoggio di persone autorevoli, tra cui il vescovo di Liegi, mentre incontrò la fiera opposizione di altri, come l'abate di Viviers.
Nacque allora un'aspra e lunga lite, alla quale partecipò anche l'arcivescovo di Colonia, Engelberto : infine prevalse la giustizia e Caterina poté trascorrere in pace il resto della vita, durante la quale ebbe estasi e visioni e operò miracoli.
La sua morte avvenne nella prima metà del sec. XIII.
È ricordata il 4 maggio ora col titolo di Beata, ora con quello di Santa.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Caterina di Lovanio, pregate per noi.

*Beate Daniela di San Barnaba (Vicenta Achurra Gogenola) e Gabriella di San Giovanni della Croce (Francisca Religiose e martiri (31 Luglio)
Schede dei Gruppi a cui appartengono:
"Beata Martiri Spagnole Missionarie Carmelitane" Religiose - 31 luglio
"Beati 498 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2007 - 6 novembre
"Martiri della Guerra di Spagna" - Senza Data (Celebrazioni singole)
† L’Arrabassada, Spagna, 31 luglio 1936

Daniela di San Barnaba (Vicenta Achurra Gogenola) e Gabriella di San Giovanni della Croce (Francisca Pons Sardá), religiose professe Missionarie Carmelitane e martiri della persecuzione religiosa spagnola, sono state beatificate il 28 ottobre 2012.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beate Daniela di San Barnaba e Gabriella di San Giovanni della Croce, pregate per noi.

*Santi Democrito, Secondo e Dionigi - Martiri  (31 Luglio)

Martirologio Romano: A Sinnada in Frigia, nell’odierna Turchia, Santi Democrito, Secondo e Dionigi, martiri.
Santi Democrito, Secondo e Dionigi, martiri
Al 31 luglio il Martirologio Geronimiano colloca a Sinnade nella Frigia il martirio di questi santi, che sono pure ricordati il 30 luglio dal Martirologio Siriaco del sec. IV, il quale, definendoli martiri antichi, fa capire che il loro martirio avvenne prima della persecuzione di Diocleziano.
(Autore: Pietro Bertocchi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Democrito, Secondo e Dionigi, pregate per noi.

*Beati Dionigi Vicente Ramos e Francesco Remon Jativa - Francescani, Martiri (31 Luglio)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati Sei Frati Minori Conventuali di Granollers" - Martiri Spagnoli
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia" - Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

+ Los Tres Pinos, Granollers, Spagna, 31 luglio 1936
Martirologio Romano:
Nella città di Granollers vicino a Barcellona in Spagna, Beati martiri Dionigi Vicente Ramos, sacerdote, e Francesco Remón Játiva, religioso, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, che durante la persecuzione contro la fede seguirono con il loro martirio le orme di Cristo.
Dionisio Vicente Ramos - Sacerdote
Caudé, Spagna, 9 ottobre 1871 – Granollers, Spagna, 31 luglio 1936
Dionisio Vicente Ramos nacque il 9 ottobre 1871 a Caudé, nel territorio della diocesi spagnola di Teruel. All’età di soli quindici anni entrò nella casa religiosa di Montalto Marche, in provincia di Ascoli
Piceno in Italia, poiché a quel tempo in Spagna non vi era alcun convento dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali.
Nel 1888, a San Miniato vicino a Pisa, emise i voti temporanei ed infine, nel seminario serafico di Bagnoregio, la professione solenne.
Fu ordinato sacerdote nel 1894 a Roma, ove aveva frequentato gli studi superiori, conseguendo anche il dottorato in teologia. Svolse vari incarichi nell’Ordine: parroco ad Anzio, penitenziere nella basilica di Loreto e professore in vari seminari diocesani e religiosi.
Tornò in patria a Granollers per una grave infermità agli occhi, dedicandosi principalmente al ministero della riconciliazione. Fu ardente apostolo e uomo di fede, carità e umiltà.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, ormai in età avanzata ed ormai cieco, il 19 luglio 1936 si rifugiò nell’ospedale. Arrestato il 31 luglio, venne fucilato lo stesso giorno insieme con il Fra’ Francisco Remon Jativa, nella località detta “Los Tres Pinos”, nei pressi di Granollers, dimostrando una fede tale da suscitare ammirazione nei suoi stessi carnefici.
Francisco Remon Jativa -  Religioso
Caudé, Spagna, 22 settembre 1890 – Granollers, Spagna, 31 luglio 1936

Francisco Remon Jativa nacque il 22 settembre 1890 a Caudé, nella diocesi spagnola di Teruel. Entrò come postulante nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali a Granollers.
Nel 1906 fu inviato in Italia e destinato ad Assisi, ove nel 1912 emise i voti temporanei e nel 1916 quelli solenni.
Qui esercitò il compito di sagrestano nella basilica sino al 1935, Fece poi ritorno in patria a Granollers, dove fu sagrestano della chiesa e portinaio del convento. Svolse gli incarichi affidatigli
con diligenza, esemplare per tutti coloro che lo avvicinavano.
Allo scoppio della guerra civile Fra’ Francisco si rifugiò in casa di alcuni amici, però mentre scappava verso un altro luogo fu riconosciuto dai rivoluzionari, arrestato ed incarcerato. Percosso crudelmente sino a provocargli una emorragia interna, fu portato in ospedale, ove incontrò Padre Dionisio Vicente Ramos, con il quale si confessò.
Il 31 luglio 1936 furono fucilati insieme in località detta “Los Tres Pinos”. Dionisio Vicente Ramos, Francisco Remon Jativa e quattro loro confratelli appartenenti all’Ordine dei Frati Minori Conventuali furono beatificati l’11 marzo 2001 da Papa Giovanni Paolo II con un gruppo composto complessivamente di ben 233 martiri della medesima persecuzione.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Dionigi Vicente Ramos e Francesco Remon Jativa, pregate per noi.

*Sant'Elena (Elin) di Skovde (31 Luglio)

Etimologia: Elena = la splendente, fiaccola, dal greco
Martirologio Romano: A Skövde in Svezia, Santa Elena, vedova, che, ingiustamente uccisa, è ritenuta martire.
É chiamata anche Sant’ Elin di Vastergotland, dal nome della provincia svedese dove si trova Skovde. Era donna di origine aristocratica, rimasta ben presto vedova, che visse piamente facendo elemosine e contribuendo con larghezza alla costruzione della chiesa della sua città.
La leggenda racconta che, essendo stato ucciso suo genero dai propri dipendenti per la crudeltà usata verso la moglie, i parenti di lui accusarono la Santa di essere stata l'assassina o per lo meno, di aver preso parte all'omicidio.
In seguito a ciò, per sottrarsi alla vendetta, Elin fece un pellegrinaggio in Terra Santa, rimanendo assente per quasi un anno. Ma, ritornata in patria, mentre si recava alla festa della consacrazione della chiesa di Gotene, fu assalita a tradimento e uccisa il 31 luglio 1160.
Narra ancora la leggenda che la sera della sua morte un cieco, accompagnato da un bambino, si trovò a passare presso il luogo dell'uccisione ed il bambino scoprì in un roseto, illuminato da una luce che ardeva vivamente, un dito mozzato di Elena, nel quale era infilato l'anello, che aveva portato dalla Terra Santa.
Quando il cieco, curvatosi, con l'aiuto del bambino, poté toccare il sangue di Elena e stropicciarsene gli occhi, riacquistò la vista. La leggenda aggiunge che nel luogo dove la Santa era caduta, a circa due chilometri da Skovde, sgorgò una sorgente d'acqua, per cui fu chiamato Elins Kalla.
Nel 1596, per ordine dell'arcivescovo luterano Angermannus, la sorgente fu riempita di terra, ma l'acqua continuò a sgorgare ugualmente.
Vicino alla sorgente esisteva anche una cappella dedicata alla santa, gli ultimi avanzi della quale furono adoperati nel 1759 per la ricostruzione della chiesa di Skovde, divorata da un incendio. Elena fu sepolta nella chiesa di Skovde e il popolo la venerò come santa, specialmente per i prodigi che
avvennero, subito dopo la morte, sulla sua tomba.
Secondo la tradizione, il Papa Alessandro III, vivamente pregato dal primo arcivescovo della Svezia, la iscrisse nell'albo dei santi nel 1164.
Elena era molto venerata anche in Danimarca; infatti nelle vicinanze di Tisvilde, già villaggio peschereccio nel Kattegat che diventò poi stazione balneare, esisteva una località chiamata Helenes Kilde che era visitata, specialmente la vigilia di San Giovanni, perché restituiva la salute agli ammalati.
Parecchi pittori danesi trassero da questa sorgente il motivo per alcuni dei loro quadri. La festa di Elena si celebra il 31 luglio. É raffigurata con una spada e il dito mozzato su un libro. (Autore: Anna Lisa Sibilia – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Elena di Skovde, pregate per noi.
usata verso la moglie, i parenti di lui accusarono la Santa di essere stata l'assassina o per lo meno, di aver preso parte all'omicidio.
In seguito a ciò, per sottrarsi alla vendetta, Elin fece un pellegrinaggio in Terra Santa, rimanendo assente per quasi un anno.
Ma, ritornata in patria, mentre si recava alla festa della consacrazione della chiesa di Gotene, fu assalita a tradimento e uccisa il 31 luglio 1160.
Narra ancora la leggenda che la sera della sua morte un cieco, accompagnato da un bambino, si trovò a passare presso il luogo dell'uccisione ed il bambino scoprì in un roseto, illuminato da una luce che ardeva vivamente, un dito mozzato di Elena, nel quale era infilato l'anello, che aveva portato dalla Terra Santa.
Quando il cieco, curvatosi, con l'aiuto del bambino, poté toccare il sangue di Elena e stropicciarsene gli occhi, riacquistò la vista. La leggenda aggiunge che nel luogo dove la Santa era caduta, a circa due chilometri da Skovde, sgorgò una sorgente d'acqua, per cui fu chiamato Elins Kalla.
Nel 1596, per ordine dell'arcivescovo luterano Angermannus, la sorgente fu riempita di terra, ma l'acqua continuò a sgorgare ugualmente.
Vicino alla sorgente esisteva anche una cappella dedicata alla Santa, gli ultimi avanzi della quale furono adoperati nel 1759 per la ricostruzione della chiesa di Skovde, divorata da un incendio. Elena fu sepolta nella chiesa di Skovde e il popolo la venerò come santa, specialmente per i prodigi che avvennero, subito dopo la morte, sulla sua tomba.
Secondo la tradizione, il Papa Alessandro III, vivamente pregato dal primo arcivescovo della Svezia, la iscrisse nell'albo dei santi nel 1164. Elena era molto venerata anche in Danimarca; infatti nelle vicinanze di Tisvilde, già villaggio peschereccio nel Kattegat che diventò poi stazione balneare, esisteva una località chiamata Helenes Kilde che era visitata, specialmente la vigilia di San Giovanni, perché restituiva la salute agli ammalati.
Parecchi pittori danesi trassero da questa sorgente il motivo per alcuni dei loro quadri. La festa di Elena si celebra il 31 luglio. É raffigurata con una spada e il dito mozzato su un libro.

(Autore: Anna Lisa Sibilia – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Elena di Skovde, pregate per noi.

*Beato Everardo Hanse - Sacerdote e Martire  (31 Luglio)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri di Inghilterra, Galles e Scozia Beatificati nel 1886-1895-1929-1987”

+ Londra, Inghilterra, 31 luglio 1581

Martirologio Romano:
A Londra in Inghilterra, Beato Everardo Hanse, sacerdote e martire, che, fin dal giorno in cui aveva abbracciato la fede cattolica, la custodì premurosamente, la propagò tra i concittadini e la confermò con il suo glorioso martirio a Tyburn sotto la regina Elisabetta I.  
Nato nella contea di Northampton da famiglia protestante, compi gli studi a Cambridge per diventare ministro del culto e fu ben presto sistemato con un buon beneficio. Colpito da una grave malattia nel 1579, comprese la situazione della sua anima e fece perciò chiamare suo fratello Guglielmo, prete cattolico, nelle cui mani pronunziò l'abiura.
Rinunziò poi al beneficio e parti per la Francia dove, nel seminario di Reims, studiò teologia per circa un anno e fu ordinato sacerdote il 25 marzo 1581.
Subito dopo venne inviato in Inghilterra insieme ad altri sacerdoti, sotto altro nome e con incarichi apparentemente diversi; ma il suo ministero in patria durò pochi mesi appena.
Un giorno mentre visitava i prigionieri cattolici a Marshalsea fu preso e sottoposto ad interrogatorio e, avendo subito confessato la sua qualifica di sacerdote cat tolico, fu rinchiuso nelle carceri di
Newgate ed incatenato (26 giugno 1581).
Il processo si svolse tra vari tentativi di comprometterlo sulle questioni della supremazia papale nelle cose spirituali e in quelle materiali, e dell'infallibilità e impeccabilità del papa stesso.
Il Beato seppe illustrare e difendere molto bene la dottrina cattolica e rimase ben saldo di fronte ai tentativi di farlo ritrattare, mentre era in carcere respinse sia l'accusa di tradimento, poiché riconosceva la regina come legittima sovrana e la sua supremazia nelle cose non di fede, sia l'invito a pregare con i ministri di culto.
La sentenza di morte fu pronunciata il 28 luglio ed eseguita il 31 seguente al Tyburn. Sul carro pregava ad alta voce e faceva la sua professione di fede; impiccato, fu deposto ancora vivente e straziato in modo orrendo.
Durante i supplizi fu udito dire ancora: «Oh felice giorno!». In un ms. conservato a Douai si parla di miracoli verificatisi alla sua morte e particolarmente del suo cuore che, gettato sulle fiamme, ne balzò fuori.
Del Beato è rimasta una lettera scritta il giorno prima della morte al fratello sacerdote, nella quale lo pregava di sistemare alcuni piccoli affari pendenti; da quelle poche righe spira serenità di spirito ed una grande precisione nelle questioni materiali.
La lettera termina ricordando l'espressione di Gesù: «Tolle crucem tuam et sequere me», a cui aggiunge Vale in Domino.
L'Hanse fu beatificato da Leone XIII nel 1886 e la sua festa viene celebrata nella diocesi di Northampton il 30 luglio, sebbene egli sia morto il 31.

(Autore: Giovanni Battista Proja – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Everardo Hanse, pregate per noi.

*San Fabio il Vessilifero - Martire (31 Luglio)

+ Cesarea di Mauritania, 303/304
Emblema:
Palma
Martirologio Romano: A Cesarea di Mauritania, nell’odierna Algeria, San Fabio, martire, che, rifiutandosi di portare nell’assemblea generale della provincia il vessillo del governatore, fu dapprima gettato in carcere e, continuando a dichiararsi cristiano, fu poi condannato a morte dal giudice.
Diversi martirologi latini riportano al 31 luglio l’elogio del martire San Fabio il Vessillifero, ad oggi unico Santo con tale nome a comparire nel calendario ufficiale cattolico, il Martyrologium Romanum. Ripercorrendo le scarse notizie sulla sua vicenda terrena è facile comprendere l’origene dello strano appellativo conferitogli.
Nella prima parte della sua “passio” sono narrati la confessione, il processo ed il martirio, racconto che pare fornire sufficiente garanzia di veridicità, mentre la parte conclusiva, assai fantasiosa, non
costituisce che un evidente tentativo di giustificare il possesso delle reliquie del santo da parte della città di Cartenna.
Verso il 303 o 304, mentre imperversava la persecuzione anticristiana indetta dall’imperatore Diocleziano, il preside romano della Mauritania convocò un’assemblea presso Cesarea e proprio per tale occasione si sarebbe svolto in cui Fabio era stato incaricato di portare il vessillo del governatore.
Poiché però la cerimonia avrebbe avuto un carattere religioso pagano, Fabio rifiutò fermamente di parteciparvi e per punizione venne incarcerato.
Dopo qualche giorno fu condotto dinanzi ad un tribunale, ove fu esaminato il suo caso.
Egli rimase fermo nel suo proposito e perciò fu inevitabile la condanna alla decapitazione.
La narrazione successiva, come detto, fornisce elementi fantastici: il giudice non volle che Fabio ricevesse conveniente sepoltura, onde evitare una venerazione popolare nei suoi confronti, ed ordinò quindi che il capo ed il corpo venissero gettati separatamente in mare.
Essi però si ricongiunsero miracolosamente e, così uniti, furono spinti dalle onde sino al lido di Cartenna, sulle coste della Mauritania sua patria, ove finalmente trovarono degna sepoltura.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Fabio il Vessilifero, pregate per noi.

*Beato Francesco (Franciszek) Stryjas - Padre di famiglia, Martire (31 Luglio)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”

Popowo, Polonia, 26 gennaio 1882 – Kalisz, Polonia, 31 luglio 1944
Franciszek Stryjas, laico della diocese di Kalisz, padre di famiglia, morì vittima dei nazisti dopo atroci sofferenze.
Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 lo elevò agli onori degli altari con ben altre 107 vittime della medesima persecuzione.

Martirologio Romano: A Kalisz in Polonia, Beato Francesco Stryjas, martire, che nello stesso periodo, sfinito dai innumerevoli supplizi, passò gloriosamente al Signore.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Stryjas, pregate per noi.

*Beato Francesco da Milano - Eremita (31 Luglio)

sec. XVII
Nel Menologio camaldolese è ricordato il 31 luglio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco da Milano, pregate per noi.

*Beato Francesco Solano (Bernard Francis) Casey - Sacerdote Cappuccino (31 Luglio)

Oak Grove, Wisconsin (USA), 25 novembre 1870 - Detroit, Michigan (USA), 31 luglio 1957

Bernard Francis Casey nacque il 25 novembre 1870 da una famiglia di contadini irlandesi cattolici emigrati nel Wisconsin. A diciassette anni già lavorava come conducente di tram, ma intanto andava interrogandosi sulla propria vocazione.
Entrò quindi nel Seminario diocesano di Milwaukee, dove ebbe non pochi problemi nell’apprendimento; in più, non era in grado di pagare la retta. Rientrò in famiglia, ma già nel Natale 1896, in seguito a un’intuizione ricevuta il giorno dell’Immacolata dello stesso anno, divenne postulante dei Cappuccini a Detroit.
Il 14 gennaio 1897 vestì il saio, cambiando nome in frate Francesco Solano, mentre il 21 luglio 1898 compì i primi voti. Fu ordinato sacerdote il 24 luglio 1904, come "sacerdote semplice", ossia senza la possibilità di confessare né di predicare in pubblico. La sua miglior predica, però, furono i suoi atti di carità negli anni della Grande Depressione, ma anche le innumerevoli guarigioni e conversioni che lungo gli anni gli furono attribuite.
Padre Solano, com’era più noto, morì a 87 anni il 31 luglio 1957, proprio lo stesso giorno in cui, cinquantatré anni addietro, aveva celebrato la sua Prima Messa. È stato beatificato il 18 novembre 2017 nel palazzetto dello sport Ford Field di Detroit, sotto il pontificato di papa Francesco.
La sua memoria liturgica, per l’Ordine Cappuccino e per la diocesi di Detroit, è stata fissata al 30 luglio, vigilia della sua nascita al Cielo. I resti mortali di padre Solano sono venerati nella chiesa del convento cappuccino di San Bonaventura a Detroit, in un’apposita cappella collocata nel transetto settentrionale.
Il settimanale "The Detroit Sunday" (2 dicembre 1956) nel centenario dei Cappucini negli Stati Uniti d’America, pubblicava la foto di un frate che tutti riconoscevano come "il cappuccino più noto tra gli americani": il padre Solano Casey. Barba bianca di 86enne che diceva sorridendo: "La vita religiosa è come aver iniziato il Paradiso sulla terra".

Un ragazzo di nome Barney
Era nato il 25 novembre 1870 a Oak Grove (Winsconsin) ed era stato battezzato il 18 dicembre successivo con il nome di Bernard Francis, ma in famiglia presero subito a chiamarlo Barney: il sesto di 16 figli di James Casey e di Ellen Murphy, emigrati dall’Irlanda, cattolici e coltivatori dei campi.
Barney cresce in un ambiente sano, in uno scenario splendido, lungo le coste del maestoso fiume Mississippi. Nel 1873, si trasferiscono a Big Rover più vicini alla chiesa e con una campagna più ampia da coltivare. A 8 anni, il nostro comincia i primi studi e frequenta la dottrina cristiana a St. Mary School.
È forte e inclinato alle cose pratiche, ricco di buon senso e di lieto umore. Nell’ottobre 1882, un altro trasferimento: azienda agricola presso Burkhardt, in St. Croix County. Barney, preparato dal parroco, riceve la prima comunione. Ha imparato a amare Gesù dai suoi cari e a dire ogni sera il Rosario alla Madonna. Il suo fratello maggiore Maurizio entra in Seminario e Barney pensa che anche lui potrebbe diventare sacerdote. Intanto prega di più e va a lavorare.
A 15 anni, è taglialegna. A 17 già conducente del tram. Impara a fare il fotografo, a suonare l’organetto, il violino e dà concerti senza pretese. Si dà a ogni genere di sports, escluso il pugilato perché non vuol dare né ricevere cazzotti. Appassionato di baseball. Cacciatore di linci nella foresta e pescatore sulle rive del Mississippi. Ha lo stile dei "pionieri" e non teme nulla.
In cuore, un grande amore a Gesù Cristo e la visione della vita come offerta e dono, proprio a Sua immagine. Nel 1890, ventenne, si trasferisce a Superior (Winconsin) come conducente e poi istruttore delle tramvie elettriche.
Intraprendente e lungimirante, convince i suoi familiari a stabilirsi a Superior dove c’è più possibilità di vita, di istruzione e di lavoro per loro e i figli più giovani che nel frattempo sono arrivati nella sua famiglia. Ma ecco, che scocca la scintilla. Era sempre stato un ragazzo retto e limpido, ma ora presso i Frati Minori Francescani, trova nel P. Eustachio la sua guida e padre spirituale. Il quale padre un giorno gli dice: "Ma lo sai che Gesù è tutto? Che Egli basta alla vita? Perché non diventi sacerdote?".
Solo l’altare
Già, è vero: Gesù solo basta alla vita. E la vita offerta a Lui è spesa al prezzo più alto. Nel gennaio 1892, Barney, 22 anni, entra nel seminario diocesano di S Francesco di Sales a Milwaukee. Ma gli studi per lui sono troppo difficili: i testi sono in latino e i professori parlano tedesco. Con un impegno eroico, lui studia per 4 anni.
È un chierico esemplare, ma proprio non ce la fa, perché lui non sa né il latino né il tedesco. È costretto a rientrare in famiglia. L’8 dicembre 1896, durante il ringraziamento alla S. Comunione, avverte che la Madonna gli dice: "Va a Detroit, tra i Cappuccini".  A Natale 1896, è già a Detroit, al convento di San Bonaventura. Si trova meglio che a casa sua e capisce che Dio, da tutta l’eternità, lo vuole lì, in mezzo ai Frati dalla barba fluente. Il 14 gennaio 1897, veste l’abito cappuccino e prende il nome di Francesco Solano. Ma subito lo chiamano fra Solano.
Si distingue per la gioia di stare per sempre lì con il Signore, così che il suo Maestro, P. Gabriele Messner, un sant’uomo, dice ai suoi novizi: "Se siete tristi, andate da Casey, che è sempre pieno di gioia". Si impegna con tutte le forze a imitare le virtù del Padre S. Francesco. Il 21 luglio 1898, offre a Dio i primi voti e viene mandato al convento di S. Francesco a Milwaukee per gli studi teologici. Si fa stimare per il suo spirito di preghiera e di servizio a tutti.
Ma si rivelano di nuovo le difficoltà negli studi. Il P. Antonio Rottensteiner, maestro degli "studenti", lo aiuta in ogni modo, ma con modesti risultati. Fra solano è ammesso ai voti perpetui, ma come si fa a ordinarlo sacerdote? Ci pensa il padre-maestro: "È tanto buono e pio, lo ordineremo e, come sacerdote sarà per il popolo un altro Curato d’Ars". Non gli sarebbe stata data la facoltà di confessare né di tenere prediche dottrinali. È un’umiliazione, senza dubbio, ma allora era prevista questa soluzione dalla legge ecclesiastica. Il 24 luglio 1904, Solano Casey è ordinato sacerdote nella Chiesa dei Cappuccini a Milwaukee, come "sacerdote simplex", senza poter confessare, ma celebrando ogni giorno la S. Messa e occupandosi delle mansioni più umili.
Ora P. Solano è immensamente felice. Così sarà per 53 anni e lui, stando all’ultimo posto, amerà e farà amare Gesù, a un numero sconfinato di anime ponendo in primo piano il santo sacrificio delle Messa, davvero e sempre "sacerdote propter Eucaristiam" al massimo. Lui per essere sacerdote ha soltanto l’altare: ma gliel’ha dato Dio, che vuoi di più?
Miracoli della Messa
31 luglio 1904, prima S. Messa a Appleton, davanti ai suoi familiari. Il fratello Maurizio che aveva lasciato il Seminario, vi ritorna portando con sé il fratello più piccolo, Edoardo. Sostenuti dal P. Solano, saranno ordinati entrambi sacerdoti nel 1912. Viene assegnato alla parrocchia del S. Cuore a New York: sacrestano e direttore dei chierichetti. Così può stare a lungo a contatto con Gesù
Eucaristico in chiesa. Dei suoi chierichetti fa dei piccoli angeli, dei "serafini" dell’altare e del Tabernacolo. Qualcuno di loro diventerà sacerdote per aver servito la Messa a P. Solano.
Dal 1906, è portinaio del convento e guida della Lega del S. Cuore. Visita i malati: tutti lo vogliono vicino perché sa ascoltare e confortare con lo stile di Gesù stesso. Si occupa dei cattolici impegnati come domestici nelle case protestanti affinché non perdano la fede.
Intensifica i suoi rapporti umani per donare Gesù a più anime che può. Tra i suoi amici c’è pure il convertito dall’anglicanesimo Paolo Francesco Wattson che lo inviterà a tenere il discorso alla sua prima Messa, il 3 giugno 1910.
Nel luglio 1918, è mandato alla Fraternità di New York in Pitt Street, parrocchia dell’Addolorata. Ancora sacrestano, direttore dei chierichetti e del gruppo-giovani: adoratore di Gesù Eucaristico e apostolo della S. Messa. Quando nell’ottobre 1921, viene assegnato alla parrocchia di S. Maria degli Angeli a Harlem, con l’incarico di portinaio e promotore dell’Opera serafica delle Sante Messe, la sua vita ha una nuova svolta con una missione speciale e per più di 30 anni.
Tutti scoprono presto che in portineria c’è un frate straordinario che ascolta tutti con affetto, e consiglia con parole semplici e ispirate da Gesù stesso. A chi vuol lasciare un’offerta, egli indica l’Opera delle Sante Messe, sicuro che dal Sacrificio di Gesù sull’altare vengono tutte le grazie. Invita tutti a confessarsi spesso, a ricevere la S. Comunione e a pregare per le missioni. Ai protestanti, ai non-credenti, agli atei, ricorda: "Quanto a lungo ancora vuoi far attendere Gesù? Amico, Gesù, unico Salvatore, si trova solo nella Chiesa Cattolica! Coraggio!".
Da parte sua, P. Solano prega e prega. Presto arrivano conversioni e guarigioni straordinarie e singolari favori di Dio. Il Provinciale, P. Benno Aichinger, nel novembre 1923 viene a conoscenza di tutte queste cose e subito gli ordina "per santa obbedienza" di prendere nota per iscritto dei fatti straordinari che avvengono tra le sue mani.
Lui obbedisce e tra l’8 novembre 1923 e il 28 luglio 1924 registra 96 annotazioni, di cui 41 riferiscono grazie speciali ottenute in seguito all’iscrizione all’Opera delle Sante Messe.
Nell’agosto del 1924, è trasferito alla portineria del convento di Detroit, come portinaio e promotore "delle Sante Messe". Ed ecco che senza volerlo, una fiumana di gente si riversa attorno a lui, attirata dalla fama della sua santità e delle grazie straordinarie che ottiene da Dio.
Egli vive di Gesù e irradia Gesù. Ogni giorno, sono 150-200 persone che lo avvicinano e lui resta in portineria per dieci ore, senza concedersi tregua o vacanze. Offre tutto e chiede tutto a Gesù nella Messa, "il suo unico Tesoro", e nell’adorazione davanti al Tabernacolo, che prolunga di notte.
Riempie sette grossi taccuini con seimila casi particolari dei quali seicento sono mirabili conversioni e guarigioni. Protestanti e testimoni di Geova che ritornano alla Chiesa Cattolica e si fanno ferventi di amore a Gesù; moribondi che guariscono e riprendono le loro attività; meraviglie di Dio, per la preghiera di un umile frate. Ai "graziati" che vengono a dirgli la loro riconoscenza, risponde sempre: "Tutto viene dal Santo Sacrificio di Gesù nella Messa".
Durante la crisi economica del 1929/30, con tanti poveri senza nulla, P. Solano fa miracoli per procurare a tutti il necessario per vivere. Promuove la nascita di un ristorante dove ogni giorno i poveri a migliaia trovano pane, minestra e carne. Lui stesso va alla questua per alimentare quest’opera. Nel 1939/40 un’altra tragedia: la 2ª guerra mondiale. Centinaia di famiglie si rivolgono a P. Solano per i parenti al fronte di guerra: per la sua preghiera giungono aiuti insperati a soldati e famiglie. Un’altra irradiazione di Gesù vivo!

L’uomo della gioia
Ciò che più affascina in lui è la sua letizia, il senso di sentirsi amato di amore infinito da Gesù, l’Uomo-Dio, al Quale soltanto vuole rassomigliare. Tutta la sua vita è incentrata nella S. Messa che celebra con un ardore sempre in crescita, perché – si domanda – "Chi più grande di noi sacerdoti che ripresentiamo Gesù vivo sull’altare a ogni Messa?". Considera il suo stato di sacerdote e di cappuccino "un vero privilegio" e ne è felice. A suo fratello don Maurizio Casey ricorda spesso: "Rendiamo sempre grazie a Dio per la nostra vocazione! Che cosa vuoi di più?". Ai novizi che si preoccupano per la loro destinazione risponde: "Che importa il luogo? Non c’è forse Gesù Eucaristico in ogni luogo? Non vi basta lui per essere felici?".
Proprio di lì alimenta la sua felicità: dall’intimità sempre più profonda con Gesù Eucaristico, e vuole comunicare a tutti questo segreto della gioia: "Che cosa sarebbe mai la nostra vita senza l’Eucaristia? Ma noi nella Messa e nel Tabernacolo abbiamo tutto".
Indugia a lungo a contemplare le bellezze della natura come il Padre S. Francesco, ma soprattutto contemplando l’incarnazione del Figlio di Dio – Gesù Bambino – la sua vita, i suoi discorsi, la sua Passione e morte – Gesù Crocifisso.
Legge le vite dei santi e li invoca come amici e intercessori, prima fra tutti la Madonna, mai sazio di approfondire la conoscenza di Lei, dei suoi privilegi, in primo luogo la sua Immacolata Concezione, la corredenzione come "mater dolorosa" accanto al Crocifisso unico Redentore.
Sano e robusto sin oltre gli 80 anni, si diverte un mondo a giocare con i novizi a tennis, a far passeggiate in mezzo ai campi e ai boschi, portando con sé il suo violino che suona in modo egregio, e un’infinità di caramelle e dolcetti che distribuisce ai giovani confratelli e a chi incontra.
All’inizio del 1956, 86 anni, la sua salute comincia a venir meno. Non perde la gioia. Momenti di quiete e di intensa sofferenza. Anche con l’ossigeno, ha voglia di cantare: inni a Gesù, alla Madonna, densi di lode. Quando non può scendere in portineria, tutti i frati impazziscono per le telefonate che da tutta l’America ricevono per sapere sue notizie. Finché può si fa accompagnare in cappella dove passa lunghe ore in adorazione di Gesù Eucaristico.
Fino all’ultimo, vuole accogliere chi desidera parlargli. Offre il suo patire per l’Ordine Francescano, per i sacerdoti, per la conversione delle anime a Gesù, per la conversione dei protestanti, degli ebrei, che pure sono affascinati dal suo stile tutto verità e amore. Il 31 luglio 1957 dice: "Oggi è un giorno meraviglioso, stasera vedrò Dio. Parla ancora della urgenza della conversione del mondo a Gesù Cristo e sul suo desiderio cocente di condurre le anime a Lui.
Verso le 11 confida: "Ora do la mia anima a Gesù". E va incontro a Lui, nella gioia: 53 anni prima aveva celebrato la sua prima Messa.
Il suo biografo, Patrizio Derum asserisce che più di 200 mila persone piansero la sua morte negli USA e in Canada. "Sacerdote semplice", era vissuto solo per il Tesoro più alto, infinito ed eterno, che è la S. Messa. La Messa che è il Cristo Immolato, è la nostra vita, il nostro unico Tutto. P. Solano Casey, Cappuccino come San Pio da Pietrelcina, appare oggi più che mai esemplare e attualissimo.
La sua causa diocesana fu introdotta nel 1976; l’11 luglio 1995 fu dichiarato Venerabile. Il 4 maggio 2017 Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto col quale è stato riconosciuto un miracolo per sua intercessione.
La beatificazione di padre Solano è stata celebrata nel palazzetto dello sport Ford Field di Detroit il 18 novembre 2017.
L’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e la diocesi di Detroit ricordano la sua memoria liturgica il 30 luglio, vigilia della sua nascita al Cielo.
(Autore: Paolo Risso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Adesso lo definiscono "il cappuccino più famoso tra gli americani" e il 18 novembre 2017 lo hanno anche fatto beato, ma all’inizio non è stato propriamente così.
Cioè: pur giudicato da tutti esemplarmente buono e devoto, quindi pienamente degno della vita religiosa, fa problema la sua profonda incompatibilità con gli argomenti teologici, che invece dovrebbero essergli indispensabile corredo.
E questo non perché sia un incapace, piuttosto perché non conosce la lingua tedesca e latina con le quali invece dovrebbe studiare, e le conseguenze sono facilmente immaginabili.
Sesto dei sedici figli di agricoltori irlandesi trapiantati in America (precisamente nel Winsconsin), è volitivo, fantasioso e intraprendente, gran lavoratore e appassionato di tutti gli sport, eccezion fatta per il pugilato, per via delle botte che dovrebbe dare o subire.
Taglialegna già a 15 anni, a 17 è conducente di tram e alcuni anni dopo istruttore delle tramvie elettriche, mentre impara a fare il fotografo, a suonare l’organetto e il violino e anche a dare concerti senza pretese.
Sui 20 anni scopre la vocazione sacerdotale ed entra nel seminario diocesano di Milwaukee, ma delude tutti per i suoi scarsi risultati a scuola, dove i libri sono in latino e i professori parlano tedesco.
Devono rimandarlo a casa e allora va a bussare dai Cappuccini di Detroit, che lo accolgono a braccia aperte, ma non riescono a far miracoli, perché anch’essi devono concludere che quel giovane, ormai maturo, davvero non è tagliato per studiar teologia.
Dato che però sono altrettanto certi dell’autenticità della sua vocazione e delle doti da buon religioso che possiede, finiscono per avvalersi della facoltà (all’epoca prevista dal diritto canonico) di ordinarlo "sacerdos simplex", il che prevede il divieto di confessare e predicare in pubblico, con il consolatorio auspicio che egli "sarà per la gente una specie di Curato d’Ars".  
Di quanto invece sia profetica una tal affermazione, davvero nessuno può immaginarlo quel 24 luglio 1904, giorno della sua ordinazione, anche perché da subito gli sono affidate le mansioni tipiche dei "Fratelli", di quanti cioè non sono ordinati sacerdoti: sagrestano, direttore dei chierichetti e portinaio.
Se la prima gli è gradita, perché gli consente di passare lunghe ore in chiesa a servizio dell’Eucaristia, la seconda gli piace perché con essa può far innamorare i giovani per l’Eucaristia: si dice che più d’uno abbia maturato la propria vocazione sacerdotale semplicemente per avergli potuto servir messa e averlo visto come "trasportato" dal sacramento che celebra.
Eccelle, però, soprattutto nel servizio di portinaio, svolgendo un ministero di ascolto e di consolazione che sembra assegnatogli direttamente dalla Provvidenza. In modo inaspettato e spontaneo, infatti, alla porta del convento comincia a confluire un fiume di miseria umana, una variegata gamma di necessità, malattie, dubbi e tristezze che ininterrottamente sfilano davanti al Padre che non può confessare, ma che sembra aver imparato direttamente da Gesù ad ascoltare, consolare, sorreggere e guarire.
Sì, anche guarire, perché pure gli occhi dei più increduli devono ammettere il moltiplicarsi di guarigioni improvvise e la soluzione dei casi più intricati.
Raccontano che siano in media 150/200 le persone che ogni giorno sfilano davanti a lui, alle quali egli dedica anche dieci ore ininterrotte di ascolto ogni giorno, riservando le altre alla preghiera e, soprattutto, alla Messa, unica facoltà concessa al suo ministero, che comunque è celebrata e vissuta in modo tale da riempire ed illuminare tutta la sua giornata.
È alla Messa, infatti, che egli riconduce ed attribuisce quanto di meraviglioso avviene tra le sue mani: dovendo, per obbedienza al Padre Provinciale, prendere nota dei prodigi che gli vengono segnalati, ne registrerà ben seimila, seicento dei quali presentano tratti di straordinarietà che hanno del miracoloso.
Senza contare i "miracoli" di carità che da lui scaturiscono, come il ristorante cui ogni giorno affluiscono migliaia di poveri, o gli aiuti che per vie misteriose ma reali arrivano ai militari al fronte, durante la seconda guerra mondiale. Ha il tempo di festeggiare nel 1954 i 50 anni della sua ordinazione, prima di assistere al declino della salute, che gli impedisce il servizio di portineria, ma non il ministero dell’ascolto e della preghiera, cui si dedica fino al 31 luglio 1957, quando padre Francesco Solano Casey annuncia che quello sarà il "giorno meraviglioso" del suo incontro con Dio che realmente avviene, prima della mezzanotte, nel suo 87° anno di vita.

(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Solano, pregate per noi.

*Beata Gabriella di San Giovanni della Croce (Francisca Pons Sardà) Vergine e Martire (31 Luglio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beate Martiri Spagnole Missionarie Carmelitane" Beatificate nel 2007 - 31 luglio
"Beati Martiri Spagnoli di Barcellona" Beatificati nel 2007 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Beati 498 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2007 - 6 novembre
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa" - Senza Data (Celebrazioni singole)

Espluga de Francoli, Tarragona, Spagna, 18 luglio 1890 – Barcellona, Spagna, 31 luglio 1936
Suor Gabriella di San Giovanni della Croce, al secolo Francisca Pons Sardá, faceva parte delle Suore Carmelitane Missionarie, fondate dal Beato Francesco di Gesù Maria Giuseppe (Francisco Palau y Quer). Dopo vari servizi in numerose case della congregazione, risiedeva nella Casa madre di Gracia, Barcellona, allo scoppio della guerra civile spagnola.
Il 31 luglio 1936, mentre accudiva un malato a domicilio alternandosi con la consorella suor Daniela di San Barnaba (Vicenta Achurra Gogenola), fu invitata a non tornare in convento.
Entrambe le suore chiesero ospitalità nella casa di un farmacista, ma vennero catturate da alcuni miliziani comunisti e fucilate fuori Barcellona, sulla strada de La Rabassada, il 31 luglio 1936. Comprese con altre due consorelle in un elenco di 64 martiri, il cui processo congiunto si è svolto nella diocesi di Barcellona, sono state beatificate il 28 ottobre 2007 a Roma.

Primi anni e vocazione
Francisca Pons Sardá nacque a Espluga de Francoli (Tarragona) il 18 luglio 1880, figlia di José Pons e Antonia Sardá; fu battezzata il giorno stesso della nascita.
Fin da piccola sviluppò un carattere forte, focoso e determinato: lo dimostrò, ad esempio, quando diede alle fiamme i libri antireligiosi di un vicino di casa, senza paura della reazione del proprietario; aveva appena quindici anni.
Quando ne ebbe ventisei, entrò nel noviziato delle Carmelitane Missionarie il 5 maggio 1907: professò i primi voti il 6 ottobre 1908 e quelli perpetui il 17 ottobre 1913. Il suo nuovo nome fu suor Gabriella di San Giovanni della Croce.
Determinata e perseverante
Suo padre inizialmente era convinto che non avrebbe resistito alla vita religiosa: scoppiava di allegria giovanile, le piacevano i ragazzi, andare in giro e divertirsi. Nelle occasioni in cui poteva davvero rischiare la vita.
Il padre le mandò a dire di tornare a casa: sia nel 1909, durante la cosiddetta "Settimana tragica" di Barcellona, sia durante i disordini dovuti alla proclamazione della seconda repubblica spagnola, sia, infine, all’inizio della guerra civile del 1936.
Suor Gabriella respinse sempre i messaggeri che l’invitavano a rientrare, almeno finché la bufera non fosse passata.
Diceva che sarebbe stata l’ultima ad abbandonare il convento, nel caso venisse incendiato, e che era disposta a dare la vita, perché Dio le avrebbe dato la grazia necessaria per affrontare l’eventuale martirio.

I suoi servizi di carità
Gabriella trascorse la sua vita religiosa nella penombra dei lavori umili. Svolse vari incarichi: presso l’ospedale di Tárrega, l’ospizio per ciechi di Santa Lucia a Barcellona, a Santa Coloma de Queralt, presso il Seminario diocesano di Barcellona, a Las Corts. Fu anche inviata per alcuni anni in Argentina. Infine, la sua ultima destinazione fu la Casa madre della congregazione, a Gracia. Per alcuni mesi, suor Gabriella diede il cambio nell’accudire lo stesso malato a Pedralbes a una consorella, suor Daniela di San Barnaba (Vicenta Achurra Gogenola): andavano senza interruzione, da lunedì al sabato, viaggiando in tram, anche dopo lo scoppio della guerra civile spagnola, ovvero il 18 luglio 1936.
Il martirio
Il 31 luglio, la famiglia del malato invitò le suore a non rientrare al convento: era troppo rischioso tornare a Gracia. Suor Gabriella telefonò a sua nipote, che era di servizio nella farmacia dei signori Boqué, i quali offrirono un nascondiglio a lei e a suor Daniela nel loro appartamento, contiguo alla farmacia. Vi si diressero travestite alla meglio, ma era palese che fossero delle religiose.
A pochi passi dalla farmacia, furono fermate da una pattuglia di miliziani. La portinaia di casa Boqué, che le stava aspettando, vide che vennero catturate, insultate e spinte su un camioncino.
Il signor Boqué fece inseguire il mezzo da un dipendente della farmacia, ma tutto fu vano. Di lì a poco, infatti, le suore vennero fucilate fuori dalla città, sulla strada de La Rabassada.
Suor Daniela aveva 46 anni, di cui 20 trascorsi come Carmelitana Missionaria. Suor Gabriella, invece, ne aveva dieci di più, ma aveva 28 anni di vita religiosa.
L’indomani, 1° agosto, vennero raccolti i cadaveri di suor Daniela, suor Gabriella e di altre due suore della loro stessa congregazione, provenienti dalla casa di Vilarrodona e uccise nello stesso luogo: suor Speranza della Croce e suor Maria Rifugio di Sant'Angelo. Dopo l’autopsia, i quattro corpi vennero seppelliti in una fossa comune.
La causa di beatificazione
Le quattro Carmelitane Missionarie sono state incluse in una causa che comprendeva in tutto 64 presunti martiri: oltre a loro, 44 Fratelli delle Scuole Cristiane, 14 Carmelitani Scalzi, 1 Suora Carmelitana della Carità e un seminarista.
Per tutti loro si è svolto un unico processo: ottenuta l’autorizzazione della Sacra Congregazione dei Riti (cui un tempo competevano le cause di beatificazione e canonizzazione), le sessioni si sono celebrate dal 13 novembre 1952 al 7 giugno 1959.
L’inchiesta diocesana è stata convalidata il 18 ottobre 1991 e, quindi, è stata composta la "Positio super martyrio", esaminata positivamente dai vari componenti della Congregazione delle Cause dei Santi. Infine, il 22 giugno 2004, il Papa San Giovanni Paolo II ha autorizzato la promulgazione del decreto che dichiarava martiri, quindi, anche suor Daniela, suor Gabriella, suor Rifugio e suor Speranza.
I 64 martiri nei quali erano comprese sono stati beatificati a Roma il 28 ottobre 2007, in un rito che elevava agli altari in tutto 498 Religiosi e Laici, accomunati dal martirio avvenuto durante la persecuzione della guerra civile spagnola.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beata Gabriella di San Giovanni della Croce, pregate per noi.

*San Germano d’Auxerre - Vescovo (31 Luglio)

Auxerre, Francia, 378 ca. – Ravenna, 31 luglio 448
Germano nacque ad Auxerre in una famiglia di grandi proprietari terrieri. Studiò le arti liberali e poi andò a Roma per acquisire il dottorato in Diritto ed esercitare la professione di avvocato.
In seguito, tornato in Francia, divenne governatore della Provincia Lionese Quarta, cui apparteneva Auxerre.
Alla morte del vescovo della città Sant'Amatore il clero, la nobiltà e il popolo acclamarono Germano.
Ceduti tutti i suoi averi ai poveri, durante il suo episcopato diede prova di uno stile di vita umile e austero, rianimò la vita monastica in Gallia e fu protagonista di importanti opere di pacificazione tra popolazioni in conflitto.
In Inghilterra, inviato dal papa Celestino I, Germano combatté con successo l'eresia pelagiana e si adoperò in una fruttuosa opera di diffusione della fede cristiana.
Morì in missione diplomatica a Ravenna nel 448. Il suo corpo fu immediatamente riportato ad Auxerre.
Si racconta che quando il corteo funebre, arrivato a Vercelli entrò nella locale cattedrale, le candele che erano spente si accesero da sole tutte insieme. Il culto di san Germano culto presto si diffuse in tutta la Gallia. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Ravenna, transito di San Germano, vescovo di Auxerre, che difese per due volte la fede dei Britanni dall’eresia pelagiana e, giunto a Ravenna per propiziare la pace nella Bretagna francese, fu accolto con onore dagli augusti Valentiniano e Galla Placidia, salendo poi da qui al regno dei cieli.
Ecco un altro santo che proviene, come tanti altri vissuti nell’antichità, specie nell’Alto Medioevo; dalle file dei laureati in Diritto e come professione l’avvocatura.
Figlio di Rustico e Germanilla, il vescovo Germano, nacque ad Auxerre (dipartimento dell’Yonne, Francia); i suoi genitori erano grandi proprietari terrieri, forse di rango senatoriale.
Studiò le arti liberali (che nel Medioevo erano sette e divise in due gruppi: arti del ‘trivio’ o letterarie, cioè grammatica, retorica, dialettica e arti del ‘quadrivio’ o scientifiche, cioè aritmetica, geometria, musica, astronomia; quindi studiò quelle del ‘trivio’, e poi andò a Roma per acquisire il dottorato in Diritto ed esercitare la professione di avvocato.
In seguito divenne governatore della Provincia Lionese Quarta, cui apparteneva Auxerre; il 1° maggio 418 morì il vescovo della città s. Amatore, e il clero, la nobiltà e il popolo, come si usava allora, lo scelsero per loro vescovo, pur essendo sposato; le leggi sul celibato ecclesiastico e della nomina dei vescovi da parte del papa vennero più tardi.
Germano comunque si mostrò degno della scelta operata dai suoi fedeli e dal clero; distribuì i suoi beni ai poveri, adottò uno stile di vita umile e mortificato, si comportò con la sua sposa come fosse una sorella.
La sua opera di vescovo fu importante, ammaestrò i suoi chierici e i suoi monaci; sviluppò la vita monastica in Gallia, fondò un monastero maschile sulla riva destra del fiume Yonne dedicato ai Ss. Cosma e Damiano; eresse una basilica a S. Albano martire inglese e un’altra più piccola destinata alla propria sepoltura, dedicata a S. Maurizio e compagni martiri e che in seguito sarà chiamata di S. Germano.
Fece da mediatore verso il capo degli Alani nella regione di Orléans, convincendolo a trattare, salvando così l’Armorica (gli Alani erano una popolazione caucasica, che al seguito degli Unni, penetrarono nell’Europa centrale, contribuendo alla caduta dell’impero romano); prese posizione contro l’eccessivo peso delle imposte pagate dai suoi diocesani.
Ma Germano fu impegnato anche in iniziative pastorali in Inghilterra, delegato dal Papa San Celestino I nel 429-30, contro l’eresia pelagiana ottenendo un netto successo. (Il pelagianesimo fu un movimento ereticale iniziato da Pelagio (360-422) monaco britannico, che accentuando le capacità
naturali del libero arbitrio, negava la necessità della Grazia divina per il retto uso della volontà umana).
Nella Pasqua del 430, contribuì alla vittoria dei Brettoni sui Pitti e i Sassoni, facendo gridare loro un fragoroso ‘Alleluia’ che spaventò gli avversari; ritornò in Gran Bretagna una seconda volta nel 445 e certi studiosi dicono, che Germano avesse portato nella grande isola il testo delle ‘Epistole’ di San Paolo, riprodotto dal ‘Libro di Armagh’; si dice che s. Patrizio, apostolo dell’Irlanda, vivesse ad Auxerre, già al tempo del vescovo s. Amatore e che fosse discepolo di San Germano.
Suscitò e incoraggiò fra i Brettoni, la vocazione religiosa della giovane s. Genoveffa (patrona di Parigi). Nel 448 infine si recò alla corte imperiale di Ravenna, per perorare la causa dell’Armorica (antico nome della Bretagna) in conflitto con Ezio, vicario imperiale della Gallia, che minacciava di farla invadere dagli Alani.
E durante quest’ultima missione, Germano morì a Ravenna il 31 luglio 448, fra il compianto generale, specie dell’imperatrice madre Galla Placidia e dei vescovi presenti, in particolare di San Pier Crisologo, vescovo di Ravenna.
Il suo corpo fu imbalsamato, deposto in una cassa di cipresso e riportato ad Auxerre, come da suo desiderio. Il trasporto fu organizzato dalla corte imperiale per mezzo di squadre di soldati; viaggio difficoltoso per un vivo, visto la distanza e la viabilità di allora, figuriamoci per una bara, che ad ogni modo fu venerata al suo passaggio, dalle popolazioni locali.
Il corteo entrò ad Auxerre il 22 settembre 448 e dopo otto giorni di esposizione solenne nella cattedrale, la salma venne inumata il 1° ottobre nella basilica da lui fatta costruire.
Il culto fu immediato non solo ad Auxerre, dove fu il primo santo locale, ma anche in tutta la Gallia, soprattutto presso i re franchi; la festa fu fissata al 31 luglio e la sua tomba divenne meta di pellegrinaggio.
Ancora vivo gli si attribuivano numerosi miracoli; a questo proposito si racconta che quando il corteo funebre, arrivato a Vercelli entrò nella locale cattedrale, le candele che erano spente si accesero da sole tutte insieme, illuminando il tempio dalle prime ombre serali.
Alla sua intercessione, si rivolsero re e regine di Francia in tutti i secoli successivi. Accanto a lui riposano altri cinque vescovi di Auxerre, fra cui San Gregorio.
Parte delle reliquie furono distrutte nel 1567 durante il sacco di Auxerre, operato dagli Ugonotti (denominazione dei protestanti francesi, ispirati al calvinismo ginevrino, responsabili delle Guerre di religione, che insanguinarono la Francia, nella seconda metà del secolo XVI).
Più di 120 Comuni francesi portano il nome di Saint-Germain, anche se non tutti sono riconducibili a lui, perché vi sono altri Santi francesi con il medesimo nome.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Germano d’Auxerre, pregate per noi.

*Beato Giacomo (Jaime) Buch Canals - Coadiutore Salesiano, Martire (31 Luglio)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Valencia”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” - Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”
Descano, Spagna, 9 aprile 1889 – El Saler, Spagna, 31 luglio
Martirologio Romano: A Valencia sempre in Spagna, Beato Giacomo Buch Canals, religioso della Società Salesiana e martire, che nella medesima persecuzione morì professando la sua fede in Cristo.
Nato a Bescano (Gerona) il 9 aprile 1889.
Quando aveva quattordici anni entrò dai salesiani di Gerona. Fece la professione come salesiano coadiutore a Sarrioi (Barcellona) nel 1908.
A Valenza fu molto stimato dagli ex allievi e dai ragazzi dell'oratorio.
Ad Alicante diede un grande impulso alla devozione a Maria Ausiliatrice; fu l'anima di quella casa, finché non fu messa a fuoco durante la Repubblica.
Da Alicante fu trasferito a Valenza, dove lo sorprese l'inizio della guerra civile.
Uscito dal carcere, tentò di rifugiarsi in diversi luoghi, ma ad un certo momento qualcuno lo riconobbe e venne arrestato. Fu ucciso in una di quelle cosiddette "passeggiate" il 30 luglio.

(Fonte: www.sdb.org)
Giaculatoria - Beato Giacomo Buch Canals, pregate per noi.

*Beato Giovanni Colombini - Fondatore dei Gesuati  (31 Luglio)
m. Siena, 1367
Nato nel 1304 da una ricca famiglia di Siena, diventava ben presto agiato mercante di lana, tessendo un’ampia rete di rapporti commerciali che lo portano ad entrare nel governo della città. Segue un felice matrimonio, allietato da due figli.
Ma una occasionale lettura della vita di una S. Maria eremita in Egitto gli procura una profonda crisi spirituale, una svolta di vita decisiva. Restituisce con l’interesse i ricavati dell’usura e convince anche la moglie ad abbracciare la più austera povertà.
I gravi sommovimenti politici della Siena del ‘300 spingono Giovanni a forme pubbliche e perfino plateali di conversione.
Lui e la moglie decidono per una “sfacciata pubblicità” al Vangelo.
Così diventano sguatteri nel palazzo dove Giovanni era stato governatore di Siena e i loro seguaci, anch’essi nobili, devono farsi mendicanti. La classica cerimonia dell’investitura cavalleresca del tempo diventa il rito con cui i novizi si spogliano in pubblico (come S. Francesco) per vestire di soli stracci, nel bel mezzo della piazza del palio di Siena, davanti all’immagine della Madonna, patrona della città.
I suoi seguaci adottavano lo stile dei giullari del tempo nella predicazione per le strade e per le piazze, guadagnandosi l’appellativo di “folli di Dio”.
Il governo di Siena decide di allontanarlo come pericoloso, ma lui si trasforma “bandito dagli uomini in banditore di Dio” utilizzando l’esilio per diffondere il suo richiamo al radicalismo evangelico. Morì in pace con la Chiesa dopo esserne stato fieramente perseguitato.

Martirologio Romano: Ad Acquapendente nel Lazio, transito del Beato Giovanni Colombini, che, ricco mercante di vesti, si convertì alla povertà e radunò i suoi discepoli nell’Ordine dei Gesuati, che volle poveri di Cristo e sposi di signora Povertà.
Potrebbe essere, a buon diritto, il protettore della nostra epoca, dominata dalla fretta ed in preda ad una perpetua agitazione.
Anche lui va sempre di fretta ed è continuamente agitato, anche se è nato 700 anni fa: segno che la fretta è vecchia quanto il mondo e che l’agitazione fa parte del patrimonio genetico dell’uomo.
Il Beato Giovanni Colombini, un giorno, smette di aver fretta per colpa della fretta e vediamo subito come. Uomo d’affari, banchiere, titolare in Siena di una florida azienda per la vendita all’ingrosso di tessuti di lana con addirittura una filiale a Perugia, si sposa a 40 anni, perché
prima, per la fretta, non ne ha mai trovato il tempo e prende in moglie, naturalmente, una nobile ereditiera, Biagia Cerretani, che gli dà due figli, un maschietto e una femminuccia. Ha ritmi frenetici, un’attività intensa, gli piacciono i pasti raffinati innaffiati da vino generoso.
Tutto questo fino ai 50 anni e, precisamente, al giorno in cui, tornando a casa, trova il pranzo non ancora pronto, come succede nelle migliori famiglie.
Lui, che ha sempre fretta, quel giorno ha più fretta del solito e ci scappa una bella litigata con la moglie.
Sbuffa, si agita, protesta, elenca tutti gli impegni che quel pomeriggio lo attendono e che la moglie gli fa ritardare, mentre questa, per calmarlo un po’, gli mette tra le mani un libro preso a caso nella libreria, una Vita dei Santi, che Giovanni, quel giorno davvero furente e più agitato che mai, scaglia in mezzo alla cucina. Perché lui vuole mangiare, non leggere. Si pente però quasi subito di quel gesto, va a raccogliere il libro e, quasi senza accorgersi, comincia a leggere dalla pagina rimasta aperta.
É la vita di Santa Maria Egiziaca, la prostituta diventata penitente, che gli fa passare di colpo la fretta e la voglia di mangiare. A lettura ultimata, Giovanni è un altro uomo, che vuole solo più imitare quella santità eroica e quella rinunzia totale: un cambiamento completo del suo stile di vita che, come suo solito, vuole fare in fretta. Perché il tempo stringe, ed è urgente dare a Dio quello che finora per la fretta gli ha negato.
Comincia a disfarsi della sua florida azienda, dalla cui vendita ricava la bellezza di diecimila fiorini, che utilizza in beneficenza e per sistemare economicamente moglie e figli. Perché anche di loro deve “disfarsi”, anche se il distacco è più duro di quanto potesse immaginare. Povertà, preghiera, penitenza, costante imitazione di Gesù sono il nuovo indirizzo che vuole dare alla sua vita. A piedi nudi, con una tonaca malconcia, comincia a predicare e ad impegnarsi in opere di carità.
Il gesto di Giovanni Colombini fa scandalo o fa ridere. Soprattutto preoccupa le autorità della ricca Siena, che hanno paura diventi contagiosa quella ventata di rinunzia e povertà che egli si porta dietro. Non mancano, infatti, suoi ferventi imitatori, a cominciare dalla di lui cugina Caterina: tutti “pazzi” per Cristo, in nome del quale Giovanni e Caterina operano anche cose prodigiose se non veri e propri miracoli.
Meglio, molto meglio, mandarli in esilio e farli oggetto di scherno, prima che sia troppo tardi. Anche la Chiesa indaga su di lui, ma non trova ombra di eresia, anzi il Papa si affretta ad approvare la regola di quella brigata di “Poveri di Cristo”, alla quale il popolo ha dato il nome di Gesuati, perché “ingesuati”, cioè trasformati in Gesù, essi si sforzano di diventare.
Giovanni percorre le città e le campagne della Toscana, mendicando, cantando laudi, recitando preghiere, parlando della bontà di Dio e raccogliendo insulti e derisioni “per amor di Dio”.
É solito dire: “Pregovi che non vi facciate male per la troppa penitenza, ma datevi più alla carità di Dio e del prossimo e alle mortificazioni”.
Oggi la Chiesa fa memoria di lui e della cugina Caterina, fondatrice delle “Povere Gesuate” , perché anche se i loro Ordini sono stati soppressi da tempo il loro esempio continua a scuotere e ad interpellare la nostra debole fede.

(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Colombini, pregate per noi.

*Beato Giovanni Francesco Jarrige de la Morelie du Breuil - Martire (31 Luglio)

Martirologio Romano: Nel braccio di mare antistante Rochefort in Francia, Beato Giovanni Francesco Jarrige de la Morélie du Breuil, sacerdote e martire, che, durante la persecuzione contro la Chiesa nel corso della rivoluzione francese, fu gettato in una sordida galera, dove morì di tisi.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Francesco Jarrige de la Morelie du Breuil, pregate per noi.

*Beato Girolamo Michele Calmell - Mercedario (31 Luglio)

+ Barcellona, Spagna, 1557
Dopo il 1500 oltre all’azione redentrice ed evangelizzatrice si accentua nell’Ordine Mercedario anche la linea docente, infatti i frati continuarono a frequentare le Università per ottenere gradi e titoli accademici.
Il Beato Girolamo Michele Calmell, era dottore in teologia ed in entrambi i diritti e notaio apostolico, che scrisse in Bordeaux (Francia): “Super cantica canticorum” ed altre opere di carattere spirituale.
Ardente difensore del dogma dell’Immacolata Concezione, meritò spesso, in estasi, di contemplarla fra il coro degli angeli.
Con fama di santità morì nella pace del Signore nell’anno 1557 a Barcellona (Spagna) e fu tumulato in un sepolcro d’onore nella chiesa del convento mercedario di Sant’Eulalia.
L’Ordine lo festeggia il 31 luglio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Girolamo Michele Calmell, pregate per noi.

*San Giustino De Jacobis da San Fele – Vescovo (31 Luglio)

San Fele (Potenza), 9 ottobre 1800 - Zula (Eritrea), 31 luglio 1860
Giustino de Jacobis divenne Abuna Jacob per le popolazioni etiopi. E quando Paolo VI lo proclamò Santo nel 1975, l'episcopato di quel Paese lo definì «il padre della Chiesa d'Etiopia».
Nato a San Fele (Potenza) nel 1800, nel 1824 divenne prete nella Congregazione della missione di san Vincenzo de' Paoli. Curò i colerosi a Napoli nel 1836-37 e due anni dopo partì per il Tigrè, operando ad Adua e Adi Kwala.
Qui eresse un seminario per preti locali, il Collegio dell'Immacolata. Ma non fu la sua unica intuizione in anticipo sui tempi.
Entrò, infatti, in dialogo con i cristiani copti. Uno di essi, Ghebrè Michail, passò al cattolicesimo e aiutò il missionario nell'opera di inculturazione della fede.
Ma quando Abuna Jacob venne ordinato vescovo - da Guglielmo Massaia - ne sorse un contrasto con il vescovo copto. E una persecuzione: Ghebrè Michail morì in carcere, mentre Giustino, espulso, si spense a Zula (Eritrea) il 31 luglio 1860. (Avvenire)

Etimologia: Giustino = onesto, probo (sign. Intuitivo)
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Nella valle di Alighede in Etiopia, San Giustino De Iacobis, vescovo della Congregazione della Missione, che, mite e pieno di carità, si impegnò nelle opere di apostolato e nella formazione del clero locale, patendo poi la fame, la sete, le tribolazioni e il carcere.
San Giustino de Jacobis nasce in San Fele (Potenza) il 9 ottobre 1800 da Giovanni Battista e Giuseppina Muccia. Intorno al 1812, la famiglia, forse per motivi economici, si trasferisce a Napoli.
Nel 1818, il padre carmelitano Mariano Cacace, intuita la vocazione del giovane, lo indirizza verso la comunità dei missionari vincenziani; proseguendo i suoi studi, Giustino de Jacobis si sposta in Puglia e proprio in questa terra, il 18 giugno 1824, a Brindisi, nella cattedrale, è ordinato sacerdote dall'arcivescovo Giuseppe Maria Tedeschi (1819 - 1825).
Nella stessa Puglia il de Jacobis trascorre i suoi primi anni di sacerdozio e tra il 1824 ed il 1836 è a Monopoli e Lecce.
Nel 1836 rientra a Napoli dove imperversa un'epidemia di colera; il sacerdote sanfelese ha modo allora di dimostrare il suo spirito di dedizione verso i tantissimi malati che i vincenziani curano. In coincidenza della processione dell'Immacolata, l'epidemia è completamente sconfitta; a Napoli, nella chiesa di San Nicola, si conserva tuttora la statua della Vergine che anche Giustino de Jacobis trasportò a spalla.
Nel 1838, il padre vincenziano Giuseppe Sapeto avvia una missione ad Adua che viene rafforzata con l'arrivo, il 13 ottobre 1839, su sollecitazione di Propaganda Fide, di Giustino de Jacobis, allora superiore alla napoletana casa dei Vergini, che assume la responsabilità della regione del Tigrè erigendosi così la prima vera missione col titolo di vicariato d'Abissinia.
Nel 1841 è affiancato da due confratelli italiani: padre Lorenzo Bianchieri e Giuseppe Abbatini. Altri risultati della missione giungeranno più avanti con la conversione al cattolicesimo del monaco etiopico Gebre Mikael e circa 5.000 indigeni Si fondano altri centri missionari a Gondar, Enticciò, Guala, con annesso seminario da cui nel 1852 usciranno 15 sacerdoti, Alitiena, Halai, Hebo, Cheren.
Tra tutti i luoghi attraversati, nella vita missionaria di Giustino de Jacobis, ricopre una notevole importanza la città di Hebo dove le sue spoglie sono conservate e venerate.
Il vescovo cappuccino mons. Guglielmo Massaia lo consacra vescovo titolare di Nilopoli l'8 gennaio 1849. Col martirio del primo sacerdote indigeno, l'abba Gebre Mikael, nel 1855, l'esilio del de Jacobis e la sua morte il 31 luglio 1860, ad Eidale, nella valle Alighedé, lungo il sentiero che da Massaua porta all'altopiano, in seguito alla persecuzione del negus Teodoro II (1855 - 68), si chiude questa prima esperienza missionaria.
Il 25 luglio 1939 Giustino de Jacobis è beatificato e nel 1975, in coincidenza con l'anno santo, proclamato santo. In Brindisi il santo è ricordato nel titolo della parrocchiale del quartiere Bozzano, canonicamente eretta il 14.5.1978, e da un'epigrafe nella basilica Cattedrale:

IN QUESTO SACRO TEMPIO
IL BEATO GIUSTINO DE JACOBIS
MISSIONARIO DI S.VINCENZO DE PAOLI
PRIMO VICARIO AP[OSTOLICO] D'ABISSINIA
FU CONSACRATO SACERDOTE
IL 18 GIUGNO 1824
LE FIGLIE DELLA CARITÀ CON ARCIVESCOVO – CAPITOLO
POPOLO ESULTANTE
RICORDANDOLO CON SOLENNI FESTEGGIAMENTI IL 21
Fa le sue prime esperienze e corre i suoi primi rischi nel 1836-37 curando i colerosi di Napoli, nell’epidemia che provoca quindicimila morti in città, dopo aver colpito il Nord e il Centro Italia (e farà altre stragi in Sicilia). Giustino De Jacobis appartiene alla “Congregazione della Missione” di san Vincenzo de’ Paoli.
Settimo dei 14 figli di una famiglia lucana, Giustino è stato ordinato sacerdote a Brindisi nel 1824. Nel 1839 arriva come missionario in Etiopia e il suo campo di lavoro è il Tigré: principalmente Adua, e poi Guala (Adi Kwala) dove pensa subito a formare preti etiopici, dando vita a un seminario chiamato “Collegio dell’Immacolata”.
Questo è già territorio cristiano (con una presenza di islamici): c’è la Chiesa copta, che non è stata mai unita a Roma, e la cui dottrina monofisita non ammette in Cristo una natura umana insieme a quella divina.
Giustino De Jacobis avvicina i copti con rispetto e amicizia; ne porta alcuni con sé in un viaggio a Roma e in Terrasanta, senza chiedere conversioni. Uno di essi, però, Ghebré Michaïl, nato nel Goggiam, si fa cattolico, diventa sacerdote e maestro del seminario, pubblicando una grammatica e un dizionario della lingua locale. Valorizzare le culture che incontra: anche questo fa parte della “linea De Jacobis” in missione.
Nella regione cresce la popolarità di Abuna (padre) Jacob, come lo chiamano, e si sviluppa la comunità cattolica, che entra però in conflitto col vescovo copto Abuna Salama, specie quando De Jacobis viene nominato vescovo e vicario apostolico (lo consacra il grande Guglielmo Massaia, vescovo dei Galla sull’altopiano etiopico, nel 1849).
Il contrasto diviene persecuzione quando un piccolo capo della zona di Gondar, Kasa, sottomette i ras proclamandosi imperatore col nome di Teodoro II.
Spinto dall’Abuna Salama, fa poi imprigionare De Jacobis con i suoi sacerdoti; e uno di essi, il dotto Ghebré Michaïl, muore di stenti in catene (sarà beatificato nel 1926). A questo punto Salama scrive a Teodoro: "Devi cacciare l’Abuna Jacob.
Ma non lo uccidere: è un Santo!". Così il vescovo Giustino viene espulso con un gruppetto dei suoi fedelissimi, e muore di sfinimento nella zona più torrida dell’Eritrea, presso Zula, mentre cerca di raggiungere il porto di Massaua.
"Giustino De Jacobis è stato padre per la Chiesa d’Etiopia", scrivono i vescovi etiopici nell’Anno santo 1975 al papa Paolo VI, che lo ha proclamato santo il 26 ottobre.
In quell’occasione, ricordando l’anticipatrice visione ecumenica di Giustino, il Pontefice affermava: "Volle accostare i Copti etiopici, e anche i fedeli musulmani; e, pur se per questo andò incontro a gravi ostilità e incomprensioni, intese dare incremento ai valori cristiani ivi esistenti, mirando all’unità e all’integrità della fede".
E ha poi aggiunto: "Ha un solo torto, quello d’essere troppo poco conosciuto".
Le sue ultime parole furono di raccomandazione e di affetto verso i suoi discepoli:
"Figli miei, tutti voi avrete parte del mio affetto, voglio benedirvi!"
"Non piangete, non piangete, continuò Giustino, non abbiate timore perché se vi conformerete alle raccomandazioni che vi ho fatto, nessuna cosa potrà nuocervi. Trasmettete questi avvisi a quelli che sono ad Hebo, Alitiena, Halai, Moncullo.
Che tutti si ricordino di me nelle preghiere".

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giustino De Jacobis da San Fele, pregate per noi.

*San Gossellino di Metz – Vescovo (31 Luglio)
V sec.

San Gossellino (o Gosselin) è il diciottesimo vescovo di Metz.
Nella cronotassi ufficiale dei vescovi della diocesi, figura dopo San Terenzio e prima di San Romano.
La sua posizione è stata assegnata dal più antico catalogo dei vescovi della città, compilato intorno al 776 e giunto ai nostri giorni nel cosiddetto "Sacramentario" di Drogone, vescovo di Metz tra gli anni 823 e 855.
San Gossellino dovrebbe aver governato la sede vescovile per ben diciotto anni.
Di lui sappiamo solo il suo nome e che morì il 31 luglio in un anno imprecisato. Sicuramente il suo episcopato si può collocare nel V Secolo.
La sua festa si celebra il 31 luglio.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Gossellino di Metz, pregate per noi.

*Sant'Ignazio di Loyola - Sacerdote (31 Luglio)

Azpeitia, Spagna, c. 1491 - Roma, 31 luglio 1556
Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia, un paese basco, nel 1491. Era avviato alla vita del cavaliere, la conversione avvenne durante una convalescenza, quando si trovò a leggere dei libri cristiani.
All'abbazia benedettina di Monserrat fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi e fece voto di castità perpetua.
Nella cittadina di Manresa per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo presso il fiume Cardoner decise di fondare una Compagnia di consacrati.
Da solo in una grotta prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri Esercizi Spirituali.
L'attività dei Preti pellegrini, quelli che in seguito saranno i Gesuiti, si sviluppa un po'in tutto il mondo. Il 27 settembre 1540 Papa Paolo III approvò la Compagnia di Gesù.
Il 31 luglio 1556 Ignazio di Loyola morì.
Fu proclamato santo il 12 marzo 1622 da Papa Gregorio XV. (Avvenire)

Etimologia: Ignazio = di fuoco, igneo, dal latino
Emblema: IHS (monogramma di Cristo)
Martirologio Romano: Memoria di Sant’Ignazio di Loyola, sacerdote, che, nato nella Guascogna in Spagna, visse alla corte del re e nell’esercito, finché, gravemente ferito, si convertì a Dio; compiuti gli studi teologici a Parigi, unì a sé i primi compagni, che poi costituì nella Compagnia di Gesù a Roma, dove svolse un fruttuoso ministero, dedicandosi alla stesura di opere e alla formazione dei discepoli, a maggior gloria di Dio.
Il primo scritto che racconta la vita, la vocazione e la missione di Sant' Ignazio, è stato redatto proprio da lui, in Italia è conosciuto come “Autobiografia”, ed egli racconta la sua chiamata e la sua missione, presentandosi in terza persona, per lo più designato con il nome di “pellegrino”; apparentemente è la descrizione di lunghi viaggi o di esperienze curiose e aneddotiche, ma in realtà è la descrizione di un pellegrinaggio spirituale ed interiore.
Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia un paese basco, nell’estate del 1491, il suo nome era Iñigo Lopez de Loyola, settimo ed ultimo figlio maschio di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez de Licona, genitori appartenenti al casato dei Loyola, uno dei più potenti della provincia di Guipúzcoa, che possedevano una fortezza padronale con vasti campi, prati e ferriere.
Iñigo perse la madre subito dopo la nascita, ed era destinato alla carriera sacerdotale secondo il modo di pensare dell’epoca, nell’infanzia ricevé per questo anche la tonsura.
Ma egli ben presto dimostrò di preferire la vita del cavaliere come già per due suoi fratelli; il padre prima di morire, nel 1506 lo mandò ad Arévalo in Castiglia, da don Juan Velázquez de Cuellar, ministro dei Beni del re Ferdinando il Cattolico, affinché ricevesse un’educazione adeguata; accompagnò don Juan come paggio, nelle cittadine dove si trasferiva la corte allora itinerante, acquisendo buone maniere che tanto influiranno sulla sua futura opera.
Nel 1515 Iñigo venne accusato di eccessi d’esuberanza e di misfatti accaduti durante il carnevale ad Azpeitia e insieme al fratello don Piero, subì un processo che non sfociò in sentenza, forse per l’intervento di alti personaggi; questo per comprendere che era di temperamento focoso, corteggiava le dame, si divertiva come i cavalieri dell’epoca.
Morto nel 1517 don Velázquez, il giovane Iñigo si trasferì presso don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, al cui servizio si trovò a combattere varie volte, fra cui nell’assedio del castello di Pamplona ad opera dei francesi; era il 20 maggio 1521, quando una palla di cannone degli assedianti lo ferì ad una gamba.
Trasportato nella sua casa di Loyola, subì due dolorose operazioni alla gamba, che comunque rimase più corta dell’altra, costringendolo a zoppicare per tutta la vita.
Ma il Signore stava operando nel plasmare l’anima di quell’irrequieto giovane; durante la lunga convalescenza, non trovando in casa libri cavallereschi e poemi a lui graditi, prese a leggere, prima svogliatamente e poi con attenzione, due libri ingialliti fornitagli dalla cognata.
Si trattava della “Vita di Cristo” di Lodolfo Cartusiano e la “Leggenda Aurea” (vita di santi) di Jacopo da Varagine (1230-1298), dalla meditazione di queste letture, si convinse che l’unico vero Signore al quale si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere era Gesù stesso.
Per iniziare questa sua conversione di vita, decise appena ristabilito, di andare pellegrino a Gerusalemme dove era certo, sarebbe stato illuminato sul suo futuro; partì nel febbraio 1522 da Loyola diretto a Barcellona, fermandosi all’abbazia benedettina di Monserrat dove fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi vestendo quelli di un povero e fece il primo passo verso una vita religiosa con il voto di castità perpetua.
Un’epidemia di peste, cosa ricorrente in quei tempi, gl’impedì di raggiungere Barcellona che ne era colpita, per cui si fermò nella cittadina di Manresa e per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo poveramente presso il fiume Cardoner “ricevé una grande illuminazione”, sulla possibilità di fondare una Compagnia di consacrati e che lo trasformò completamente.
In una grotta dei dintorni, in piena solitudine prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri “Esercizi Spirituali”, i quali costituiscono ancora oggi, la vera fonte di energia dei Gesuiti e dei loro allievi.
Arrivato nel 1523 a Barcellona, Iñigo di Loyola, invece di imbarcarsi per Gerusalemme s’imbarcò per Gaeta e da qui arrivò a Roma la Domenica delle Palme, fu ricevuto e benedetto dall’olandese Adriano VI, ultimo papa non italiano fino a Giovanni Paolo II.
Imbarcatosi a Venezia arrivò in Terrasanta visitando tutti i luoghi santificati dalla presenza di Gesù; avrebbe voluto rimanere lì ma il Superiore dei Francescani, responsabile apostolico dei Luoghi Santi, glielo proibì e quindi ritornò nel 1524 in Spagna.
Intuì che per svolgere adeguatamente l’apostolato, occorreva approfondire le sue scarse conoscenze teologiche, cominciando dalla base e a 33 anni prese a studiare grammatica latina a Barcellona e poi gli studi universitari ad Alcalà e a Salamanca.
Per delle incomprensioni ed equivoci, non poté completare gli studi in Spagna, per cui nel 1528 si trasferì a Parigi rimanendovi fino al 1535, ottenendo il dottorato in filosofia.
Ma già nel 1534 con i primi compagni, i giovani maestri Pietro Favre, Francesco Xavier, Lainez, Salmerón, Rodrigues, Bobadilla, fecero voto nella Cappella di Montmartre di vivere in povertà e castità, era il 15 agosto, inoltre promisero di recarsi a Gerusalemme e se ciò non fosse stato possibile, si sarebbero messi a disposizione del Papa, che avrebbe deciso il loro genere di vita apostolica e il luogo dove esercitarla; nel contempo Iñigo latinizzò il suo nome in Ignazio, ricordando il santo vescovo martire Sant' Ignazio d’Antiochia.
A causa della guerra fra Venezia e i Turchi, il viaggio in Terrasanta sfumò, per cui si presentarono dal Papa Paolo III (1534-1549), il quale disse: “Perché desiderate tanto andare a Gerusalemme?
Per portare frutto nella Chiesa di Dio l’Italia è una buona Gerusalemme”; e tre anni dopo si cominciò ad inviare in tutta Europa e poi in Asia e altri Continenti, quelli che inizialmente furono chiamati “Preti Pellegrini” o “Preti Riformati” in seguito chiamati Gesuiti.
Ignazio di Loyola nel 1537 si trasferì in Italia prima a Bologna e poi a Venezia, dove fu ordinato sacerdote; insieme a due compagni si avvicinò a Roma e a 14 km a nord della città, in località ‘La Storta’ ebbe una visione che lo confermò nell’idea di fondare una “Compagnia” che portasse il nome di Gesù. Il 27 settembre 1540 Papa Polo III approvò la Compagnia di Gesù con la bolla “Regimini militantis Ecclesiae”. L’8 aprile 1541 Ignazio fu eletto all’unanimità Preposito Generale e il 22 aprile fece con i suoi sei compagni, la professione nella Basilica di S. Paolo; nel 1544 padre Ignazio, divenuto l’apostolo di Roma, prese a redigere le “Costituzioni” del suo Ordine, completate nel 1550, mentre i suoi figli si sparpagliavano per il mondo.
Rimasto a Roma per volere del Papa, coordinava l’attività dell’Ordine, nonostante soffrisse dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e a una cirrosi epatica mal curate, limitava a quattro ore il sonno per adempiere a tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della Messa.
Il male fu progressivo limitandolo man mano nelle attività, finché il 31 luglio 1556, il soldato di Cristo, morì in una modestissima camera della Casa situata vicina alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma. Fu proclamato beato il 27 luglio 1609 da papa Paolo V e proclamato santo il 12 marzo 1622 da Papa Gregorio XV.
Si completa la scheda sul Santo Fondatore, colonna della Chiesa e iniziatore di quella riforma coronata dal Concilio di Trento, con una panoramica di notizie sul suo Ordine, la “Compagnia di Gesù”.
Le “Costituzioni” redatte da Sant’ Ignazio fissano lo spirito della Compagnia, essa è un Ordine di “chierici regolari” analogo a quelli sorti nello stesso periodo, ma accentuante anche nella denominazione scelta dal suo Fondatore, l’aspetto dell’azione militante al servizio della Chiesa.
La Compagnia adattò lo spirito del monachesimo, al necessario dinamismo di un apostolato da svolgersi in un mondo in rapida trasformazione spirituale e sociale, com’era quello del XVI secolo; alla stabilità della vita monastica sostituì una grande mobilità dei suoi membri, legati però a particolari obblighi di obbedienza ai superiori e al Papa; alle preghiere del coro sostituì l’orazione mentale.
Considerò inoltre essenziale la preparazione e l’aggiornamento culturale dei suoi membri.
È governata da un “Preposito generale”.
I gradi della formazione dei sacerdoti gesuiti, comprendono due anni di noviziato, gli aspiranti sono detti ‘scolastici’, gli studi approfonditi sono inframezzati dall’ordinazione sacerdotale (solitamente dopo il terzo anno di filosofia), il giovane gesuita verso i 30 anni diventa professo ed emette i tre voti solenni di povertà, castità e obbedienza, più in quarto voto di obbedienza speciale al Papa; accanto ai ‘professi’ vi sono i “coadiutori spirituali” che emettono soltanto i tre voti semplici.
Non c’è un ramo femminile né un Terz’Ordine. La spiritualità della Compagnia si basa sugli ‘Esercizi Spirituali’ di Sant' Ignazio e si contraddistingue per l’abbandono alla volontà di Dio espresso nell’assoluta obbedienza ai superiori; in una profonda vita interiore alimentata da costanti pratiche spirituali, nella mortificazione dell’egoismo e dell’orgoglio; nello zelo apostolico; nella totale fedeltà alla Santa Sede.
I Gesuiti non possono possedere personalmente rendite fisse, consentite solo ai Collegi e alle Case di formazione; i professi fanno anche il voto speciale di non aspirare a cariche e dignità ecclesiastiche.
Come attività, in origine la Compagnia si presentava come un gruppo missionario a disposizione del pontefice e pronto a svolgere qualsiasi compito questi volesse affidargli per la “maggior gloria di Dio”.
Quindi svolsero attività prevalentemente itinerante, facendo fronte alle più urgenti necessità di predicazione, di catechesi, di cura di anime, di missioni speciali, di riforma del clero, operante nella Controriforma e nell’evangelizzazione dei nuovi Paesi (Oriente, Africa, America).
Nel 1547, Sant'Ignazio affidò alla sua Compagnia, un ministero inizialmente non previsto, quello dell’insegnamento, che diventò una delle attività principali dell’Ordine e uno dei principali strumenti della sua diffusione e della sua forza, lo testimoniano i prestigiosi Collegi sparsi per il mondo.
Alla morte di Sant' Ignazio, avvenuta come già detto nel 1556, la Compagnia contava già mille membri e nel 1615, con la guida dei vari Generali succedutisi era a 13.000 membri, diffondendosi in tutta Europa, subendo anche i primi martiri (Campion, Ogilvie, in Inghilterra).
Ma soprattutto ebbe un’attività missionaria di rilievo iniziata nel 1541 con San Francesco Xavier, inviato in India e nel Giappone, dove i successivi gesuiti subirono come gli altri missionari, sanguinose persecuzioni.
Più duratura fu la loro opera in Cina con padre Matteo Ricci (1552-1610) e in America Meridionale, specie in Brasile, con le famose ‘riduzioni’.
Più sfortunata fu l’opera dei Gesuiti in America Settentrionale, in cui furono martiri i Santi Giovanni de Brebeuf, Isacco Jogues, Carlo Garnier e altri cinque missionari.
Col passare del tempo, nei secoli XVII e XVIII i Gesuiti con la loro accresciuta potenza furono al centro di dispute dottrinarie e di violenti conflitti politico-ecclesiatici, troppo lunghi e numerosi da descrivere in questa sede; che alimentarono l’odio di tanti movimenti antireligiosi e l’astio dei Domenicani, dei sovrani dell’epoca e dei parlamentari e governi di vari Stati.
Si arrivò così allo scioglimento prima negli Stati di Portogallo, Spagna, Napoli, Parma e Piacenza e infine sotto la pressione dei sovrani europei, anche allo scioglimento totale della Compagnia di Gesù nel 1773, da parte di Papa Clemente XIV.
I Gesuiti però sopravvissero in Russia sotto la protezione dell’imperatrice Caterina II; nel 1814 Papa Pio VII diede il via alla restaurazione della Compagnia.
Da allora i suoi membri sono stati sempre presenti nelle dispute morali, dottrinarie, filosofiche, teologiche e ideologiche, che hanno interessato la vita morale e istituzionale della società non solo cattolica.
Nel 1850 sorse la prestigiosa e diffusa rivista “La Civiltà Cattolica”, voce autorevole del pensiero della Compagnia; altre espulsioni si ebbero nel 1880 e 1901 interessanti molti Stati europei e sud americani.
Nell’annuario del 1966 i Gesuiti erano 36.000, divisi in 79 province nel mondo e 77 territori di missione. In una statistica aggiornata al 2002, la Compagnia di Gesù annovera tra i suoi figli 49 Santi di cui 34 martiri e 147 Beati di cui 139 martiri; a loro si aggiungono centinaia di Servi di Dio e Venerabili, avviati sulla strada di un riconoscimento ufficiale della loro santità o del loro martirio.
L’alto numero di martiri, testimonia la vocazione missionaria dei Gesuiti, votati all’affermazione della ‘maggior gloria di Dio’, nonostante i pericoli e le persecuzioni a cui sono andati incontro, sin dalla loro fondazione.  

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ignazio di Loyola, pregate per noi.

*Beato Marcello Denis - Sacerdote e Martire (31 Luglio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri del Laos" - 16 dicembre (celebrazione di gruppo)
Alençon, Francia, 7 agosto 1919 – Kham Hè, Laos, 31 luglio 1961

Padre Marcel Denis iniziò il percorso verso il sacerdozio nel Seminario della diocesi di Sées e proseguì in quello della Società delle Missioni Estere di Parigi dopo essersi indirizzato alla vita missionaria.
Ordinato il 22 aprile 1945, partì l’anno successivo per il Laos, prima in pianura, poi nelle zone interne del Paese e sempre più verso i villaggi di montagna. Percorreva quel vasto territorio curando in particolare i lebbrosi ed entrando in dialogo, che spesso produceva in lui speranze di conversioni, con i popoli che incontrava.
Nell’aprile 1961, nel giro di poche settimane, la guerriglia occupò tutta la sua zona di competenza.
Padre Marcel fece il possibile per mettere al sicuro i suoi collaboratori e i bambini, ma decise di restare al loro fianco.
Dopo il 17 aprile, giorno in cui partì per cercare un suo catechista, non fu più ritrovato: venne infine dato per disperso e la sua morte fu fissata al 31 luglio 1961. Inserito nel gruppo di quindici martiri capeggiato dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên, è stato beatificato l’11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos.

Concittadino di santa Teresina
Marcel Denis nacque il 7 agosto 1919 ad Alençon, nella regione francese della Normandia, da genitori che lavoravano nelle ferrovie. Venne battezzato a tre giorni dalla nascita nella chiesa parrocchiale di San Pietro.
Aveva appena sei anni quando fu canonizzata Santa Teresa di Gesù Bambino, che era stata sua concittadina, e otto quando lei venne dichiarata patrona principale delle Missioni. Decise quindi di prenderla come propria custode e divenne appassionato di Gesù come lei.

Vocazione missionaria
Entrò quindi nel Seminario minore diocesano e, terminati gli studi secondari nel 1939, passò al Seminario maggiore nella città di Sées. Tuttavia, dovette arruolarsi nell’esercito francese in seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale: venne ferito accidentalmente e, prima di riprendere gli studi, dovette stare a lungo in convalescenza.
Ormai orientato verso la vita missionaria, fu ammesso il 1° ottobre 1942 nel Seminario della Società delle Missioni Estere di Parigi. Ordinato sacerdote il 22 aprile 1945, celebrò la Prima Messa il giorno seguente, lunedì, nella cripta dei martiri del Seminario. Terminata la guerra, s’imbarcò a Marsiglia il 23 marzo 1946, insieme ad altri diciassette missionari, alla volta della missione del Laos.
Missionario in Laos
Arrivò il 5 giugno e fu assegnato alla procura di Thakhek, per imparare la lingua locale; vi risiedette dal giugno 1946 al gennaio 1948. Da allora in poi poté entrare in contatto diretto con le popolazioni rurali. Inizialmente gli venne affidato il settore di Dong Makba, dove la comunità cristiana era ben organizzata. A partire dal 1952 venne inviato al più vasto settore di Maha Phom e Maha Sai.
S’impegnò anzitutto nella formazione dei cristiani, mediante una catechesi assidua. Si dedicò anche alla promozione umana e spirituale del popolo cui era stato inviato, donandosi ad esso interamente. Gran parte del suo tempo era dedicata alla visita dei numerosissimi villaggi, tanto buddisti quanto animisti. Gradualmente cominciò a volgersi ai villaggi di montagna, dove il Vangelo era praticamente sconosciuto, e si accostava specialmente ai lebbrosi.
Nelle sue lettere alla famiglia comunicava la gioia e l’entusiasmo della vita in missione. Ad esempio, il 29 novembre 1952, scrisse: «Sono molto contento di questa nuova vita che mi aspetta. Fino a qui, i miei viaggi sono stati un supplemento al mio lavoro principale. Adesso la mia nomina è un’approvazione ufficiale.
Sono molto contento. Quello che era lavoro secondario diventa lavoro principale: andare dai pagani, entrare nelle anime... Pregate affinché io possa creare nel Nord una scuola che sia una forza...».
In effetti, la parte settentrionale del vicariato di Thakhek offriva grandi speranze di conversioni. Padre Marcel inaugurò quindi una nuova stazione missionaria a Phon Sa-at, a trentadue chilometri a nord-est di Thakhek, e cominciò, a partire da un nucleo di neofiti molto zelanti, l’istruzione religiosa di duecento catecumeni.
L’ultimo viaggio
Nell’aprile 1961, però, la guerriglia comunista si estese anche al territorio di cui lui si occupava. Il missionario cercò quindi di mettere in salvo collaboratori e bambini, ma decise di restare tra di loro. Infatti, quando manifestò al suo vescovo, monsignor Jean Arnaud, di voler andare nel villaggio di Phon Sa-at, dove abitava Unla, il suo catechista di fiducia, rispose così alla sua richiesta di non partire: «Non posso lasciare i miei cristiani...».
Il 17 aprile, padre Marcel era in visita al pre-seminario di Thakhek, dove andava spesso. Dichiarò al superiore, Jean-Pierre Urkia: «Ho un catechista, Unla, padre di una famiglia numerosa, che è nel villaggio di Phon Sa-at.
È in pericolo, devo assolutamente andare a cercarlo». Partì quasi subito dopo.
A Maha Phom la guerriglia l’aveva anticipato, ma continuò la marcia fino a Phon Sa-at: appena arrivato, fu fatto prigioniero. Avrebbe voluto evadere, ma non volle mettere in pericolo il capovillaggio, sotto la cui custodia era stato posto.
A un buddista che gli comandò perché non lasciasse il settore, ribatté: «Non ho commesso alcuna colpa; se resto, non c’è nulla da rimproverarmi; se parto, sarà una colpa di cui mi si potrà accusare».
Poco dopo fu portato via: Unla testimoniò di averlo visto lasciare il villaggio e andare verso est, al volante del suo fuoristrada, ma affiancato da militari vietnamiti; dal canto suo, il catechista riuscì a scappare attraverso la foresta e a raggiungere sano e salvo la missione.
Padre Marcel, invece, non venne mai più ritrovato. Un ufficiale neutrale riferì a un membro della missione di Thakhek che lui era stato condotto in Vietnam e consegnato alla polizia a Vinh. Un diplomatico filippino raccontò quanto lui stesso aveva ascoltato: un missionario francese catturato in Laos era stato fucilato per spionaggio a Vinh, ma non sapeva più il suo nome.
Altre voci affermarono che era stato riportato in Laos in capo a due mesi, insieme a due bonzi che condivisero la sua sorte.
Nel 1963 altre testimonianze condussero a dichiarare morto padre Marcel. La Società delle Missioni Estere registrò il suo decesso alla data ipotetica del 15 dicembre 1962, ma un avviso successivo dell’ambasciata di Francia in Laos, datato 12 agosto 1967, lo retrodatava al 31 luglio 1961.
La causa di beatificazione
Padre Marcel Denis è stato inserito in un elenco di quindici tra sacerdoti, diocesani e missionari, e laici, uccisi tra Laos e Vietnam negli anni 1954-1970 e capeggiati dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên. La fase diocesana del loro processo di beatificazione, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 18 gennaio 2008, si è svolta a Nantes dal 10 giugno 2008 al 27 febbraio 2010, supportata da una commissione storica.
A partire dalla fase romana, ovvero dal 13 ottobre 2012, la Congregazione delle Cause dei Santi ha concesso che la loro "Positio super martyrio", consegnata nel 2014, venisse coordinata, poi studiata, congiuntamente a quella di padre Mario Borzaga, dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, e del catechista Paul Thoj Xyooj (la cui fase diocesana si era svolta a Trento).
L’ufficializzazione del martirio e la beatificazione
Il 27 novembre 2014 la riunione dei consultori teologi si è quindi pronunciata favorevolmente circa il martirio di tutti e diciassette. Questo parere positivo è stato confermato il 2 giugno 2015 dal congresso dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, ma solo per Joseph Thao Tiên e i suoi quattordici compagni: padre Borzaga e il catechista, infatti, avevano già ottenuto la promulgazione del decreto sul martirio il 5 maggio 2015. Esattamente un mese dopo, il 5 giugno, Papa Francesco autorizzava anche quello per gli altri quindici.
La beatificazione congiunta dei diciassette martiri, dopo accaniti dibattiti, è stata infine fissata a domenica 11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos.
A presiederla, come inviato del Santo Padre, il cardinal Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato nelle Filippine e Missionario Oblato di Maria Immacolata. La loro memoria liturgica comune cade il 16 dicembre, data della morte di uno di essi, il Missionario Oblato di Maria Immacolata padre Jean Wauthier.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Marcello Denis, pregate per noi.

*Beata Maria Rifugio di Sant'Angelo (Marìa Roqueta Serra) - Vergine e Martire (31 Luglio)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beate Martiri Spagnole Missionarie Carmelitane" - Beatificate nel 2007 (31 luglio)
"Beati Martiri Spagnoli di Barcellona" Beatificati nel 2007 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Beati 498 Martiri Spagnoli" - Beatificati nel 2007 (6 novembre)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Gabarra, Spagna, 20 aprile 1878 – Barcellona, Spagna, 31 luglio 1936

Suor Maria Rifugio di Sant'Angelo (María Roqueta Serra) faceva parte delle Suore Carmelitane Missionarie, fondate dal Beato Francesco di Gesù Maria Giuseppe (Francisco Palau y Quer).
Dopo vari servizi in numerose case della congregazione, si trovava in quella di Vilarrodona, come vicaria della superiora locale, allo scoppio della guerra civile spagnola. In via precauzionale, la comunità si disperse: riunitasi alla sua superiora, suor Speranza della Croce (Teresa Subirá Sanjaume) di essere ospitata dalla propria sorella, ma non la trovò in casa.
Le due religiose furono quindi catturate da alcuni miliziani comunisti e fucilate a Barcellona, sulla strada de La Rabassada, il 31 luglio 1936. Comprese con altre due consorelle in un elenco di 64 martiri, il cui processo congiunto si è svolto nella diocesi di Barcellona, sono state beatificate il 28 ottobre 2007 a Roma.

Infanzia e vocazione
María Roqueta Serra nacque il 20 aprile 1878 a Gabarra, piccolo paese della provincia di Lerida, e fu battezzata il giorno dopo la nascita. I suoi genitori, María Serra e Francisco Roqueta, erano gente dalla vita e dalla fede semplici: morirono rispettivamente quando lei aveva otto e quindici anni.
A diciannove anni, il 1° aprile 1897, entrò nel noviziato delle Suore Carmelitane Missionarie a Barcellona: compì la prima professione il 20 dicembre 1898 ed emise i voti perpetui il 23 aprile 1904. Il suo nome religioso fu suor Maria Rifugio di Sant’Angelo.

Il suo servizio
Fu impiegata in vari servizi umili all’interno in varie case della congregazione, con uno stile sempre identico: era fervorosa e attenta al lavoro, benché fosse malata di cuore. Anzi, mentre compiva i lavori più duri, pregava.
Quando ormai era diventato chiaro che il martirio si approssimava, commentò che avrebbe subito iniziato a pregare appena udito qualche sparo, dato che il suo cuore non avrebbe retto. Nonostante la paura, si preparava al peggio e lo riflettevano anche i suoi sogni: durante una ricreazione comunitaria, raccontò di aver sognato di essere uccisa insieme alla superiora della casa, suor Speranza della Croce, della quale era la vicaria.

Nella persecuzione della guerra civile
Il 20 luglio 1936, due giorni dopo l’inizio della guerra civile spagnola, le suore decisero di non abbandonare la casa di Vilarrodona, mentre i bambini della scuola erano a casa in vacanza. L’indomani, consapevole del fatto che le suore erano sorvegliate dai miliziani rivoluzionari, suor Speranza le radunò in cappella e distribuì loro la Comunione, così da svuotare il Tabernacolo.
Il 22 luglio le suore dovettero abbandonare il collegio e cercare riparo presso famiglie di conoscenti. Suor Rifugio venne accolta dalla famiglia del dottor José Gabalda, di fronte alla chiesa parrocchiale.
Nella stessa casa si era rifugiato anche il parroco e cappellano della scuola delle suore, don José Maria Escoda, preoccupato più per la devastazione della chiesa che per la propria vita.
Quando, la notte del 23, l’edificio sacro venne saccheggiato e gli arredi sacri, insieme alle statue, dati alle fiamme, perse il controllo di sé. Fece dunque per uscire e opporsi al disastro, ma i padroni di casa glielo impedirono: forzò la porta, ma cadde a terra privo di sensi. Venne in seguito fucilato il 25 luglio.
Suor Rifugio, che aveva nascosto la chiave di casa per impedire al sacerdote di andare fuori, visse quei momenti cercando di essere tranquilla, considerandoli una preparazione alla morte.

«Arrivederci in cielo!»
Il 24 luglio un gruppo di miliziani imprigionò tutte le Carmelitane Missionarie: le radunò in piazza e le caricò su un furgoncino, scortato da due automobili su cui viaggiavano altri uomini armati. Si fermarono momentaneamente per fingere una fucilazione, poi proseguirono il cammino.
Nella notte seguente, don Escoda e le suore, grazie all’intervento di una signora amica, poterono essere recluse in casa sua: trascorsero sei giorni nell’incertezza, ma accudite con affetto dalla padrona di casa.
Il parroco venne quindi prelevato e fucilato insieme al suo coadiutore, ordinato sacerdote appena un mese prima.
Il 31 luglio le religiose vennero liberate, col permesso di andare a Barcellona per riunirsi alle proprie famiglie. Nel separarsi dalle consorelle insieme alla superiora, suor Speranza della Croce, suor Rifugio la sentì salutare: «Arrivederci in cielo!».

Il martirio
Le due andarono in direzione della casa della sorella di suor Rifugio, ma nessuno aprì loro. Dopo alcuni attimi di sconforto, vennero nuovamente imprigionate e consegnate al comitato rivoluzionario del luogo, che le rinchiuse in una casa vicina.
Poco dopo vennero nuovamente tratte fuori e condotte alla sede del comitato; da lì furono fatte salire su un camioncino, che le portò fuori città. Vennero fatte scendere sulla strada de La Rabassada e lì fucilate. Suor Speranza aveva 61 anni, di cui quaranta di vita consacrata. Suor Rifugio, invece, ne aveva 58, 38 dei quali vissuti tra le Carmelitane Missionarie.
L’indomani, 1° agosto, vennero raccolti i cadaveri di suor Speranza e suor Rifugio, insieme a quelli di altre due suore della loro stessa congregazione, provenienti dalla casa madre di Gracia e uccise nello stesso luogo: suor Daniela di San Barnaba e suor Gabriella di San Giovanni della Croce. Dopo l’autopsia, i quattro corpi vennero seppelliti in una fossa comune.

La causa di beatificazione
Le quattro Carmelitane Missionarie sono state incluse in una causa che comprendeva in tutto 64 presunti martiri: oltre a loro, 44 Fratelli delle Scuole Cristiane, 14 Carmelitani Scalzi, una Suora Carmelitana della Carità e un seminarista.
Per tutti loro si è svolto un unico processo: ottenuta l’autorizzazione della Sacra Congregazione dei Riti (cui un tempo competevano le cause di beatificazione e canonizzazione), le sessioni si sono celebrate dal 13 novembre 1952 al 7 giugno 1959.
L’inchiesta diocesana è stata convalidata il 18 ottobre 1991 e, quindi, è stata composta la "Positio super martyrio", esaminata positivamente dai vari componenti della Congregazione delle Cause dei Santi.
Infine, il 22 giugno 2004, il Papa san Giovanni Paolo II ha autorizzato la promulgazione del decreto che dichiarava martiri, quindi, anche suor Daniela, suor Gabriella, suor Rifugio e suor Speranza.
I 64 martiri nei quali erano comprese sono stati beatificati a Roma il 28 ottobre 2007, in un rito che elevava agli altari in tutto 498 Religiosi e Laici, accomunati dal martirio avvenuto durante la persecuzione della guerra civile spagnola.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beata Maria Rifugio di Sant'Angelo, pregate per noi.

*Beata Martiri Spagnole Missionarie Carmelitane - Religiose (31 Luglio)  

Schede dei Gruppi a cui appartengono:
"Beati 498 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2007 - 6 novembre
"Martiri della Guerra di Spagna" - Senza Data (Celebrazioni singole)
† L’Arrabassada, Spagna, 31 luglio 36

- Esperanza de la Cruz

-María Refugio de San Ángelo
- Daniela de San Bernabé
- Gabriela de San Juan de la Cruz
- Sono state beatificate il 28 ottobre 2007. La loro causa è inclusa nel gruppo "Lucas de S. José, carmelitano, Leonardo José, lasalliano, Apolonia Lizarraga del Ss. Sacramento e 61 compagni".

- María Refugio de San Ángelo

-Daniela de San Bernabé

- Gabriela de San Juan de la Cruz
Sono state beatificate il 28 ottobre 2007. La loro causa è inclusa nel gruppo "Lucas de S. José, carmelitano, Leonardo José, lasalliano, Apolonia Lizarraga del Ss. Sacramento e 61 compagni".

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beata Martiri Spagnole Missionarie Carmelitane, pregate per noi.

*Beato Michele (Michal) Ozieblowski - Sacerdote e Martire (31 Luglio)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”

Izdebno, Polonia, 28 settembre 1900 – Dachau, Germania, 31 luglio 1942
Michal Ozieblowski, sacerdote dell’arcidiocesi di Varsavia, cadde vittima dei nazisti nel celebre campo di concentramento tedesco di Dachau.
Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 lo elevò agli onori degli altari con ben altre 107 vittime della medesima persecuzione.

Martirologio Romano: Vicino a Monaco di Baviera in Germania nel campo di prigionia di Dachau, Beato Michele Oziębłowski, sacerdote e martire, che, deportato per la sua fede in un carcere straniero dalla Polonia, sua patria, costretta sotto un regime nemico della religione, portò a compimento il martirio sotto tortura.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Michele Ozieblowski, pregate per noi.

*Santi Pietro Doan Cong Quy e Emanuele Phung - Martiri (31 Luglio)

Martirologio Romano:
I
n località Cây Mét vicino a Saigon in Cocincina, ora Viet Nam, Santi Pietro Đoàn Công Quỳ, sacerdote, ed Emanuele Phụng, martiri, che, dopo circa sette mesi in carcere, furono decapitati per Cristo sotto l’imperatore Tự Đức.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Pietro Doan Cong Quy e Emanuele Phung, pregate per noi.

*Beati Prudenzio della Croce (Prudencio Gueréquiz y Guezuraga) e Secondo di Santa Teresa (Segundo García y) - Sacerdoti trinitari, Martiri (31 Luglio)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Trinitari di Cuenca e Jaén” - Beatificati nel 2007 - Senza Data (Celebrazioni singole)
“Beati 498 Martiri Spagnoli” Beatificati nel 2007 - 6 novembre
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)

+ Andújar, Spagna, 31 luglio 1936
Beatificati il 28 ottobre 2007.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Prudenzio della Croce e Secondo di Santa Teresa, pregate per noi.

*Beate Speranza della Croce (Teresa Subirá Sanjaume) e Maria Rifugio di Sant'Angelo (Maria Roqueta Serra) - Religiose e Martiri (31 Luglio)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beate Martiri Spagnole Missionarie Carmelitane” Religiose - 31 luglio
“Beati 498 Martiri Spagnoli” - Beatificati nel 2007 - 6 novembre
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data - Celebrazioni singole
+ L’Arrabassada, Spagna, 31 luglio 1936

Speranza della Croce (Teresa Subirá Sanjaume) e Maria Rifugio di Sant'Angelo (Maria Roqueta Serra), religiose professe Missionarie Carmelitane e martiri della persecuzione religiosa spagnola, sono state beatificate il 28 ottobre 2007.  
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beate Speranza della Croce e Maria Rifugio di Sant'Angelo, pregate per noi.

*San Tertullino - Martire (31 Luglio)

Martirologio Romano:
A Roma sulla via Latina, San Tertullino, martire.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Tertullino, pregate per noi.

*Beata Zdenka Cecilia Schelingova - Martire (31 Luglio)

24 dicembre 1916 - 31 luglio 1955
Nel 1931, quindicenne, entrò nella congregazione delle Suore di carità della Santa Croce. Si dedicò così alla preghiera e al servizio infermieristico, nel quale si distinse tra le sue consorelle. Durante gli anni del regime comunista all'ospedale di Bratislava aiutò la fuga di un prete detenuto e picchiato a sangue. Il fatto segnò la sua condanna, fu infatti arrestata il 29 febbraio 1952, mentre tentava di far fuggire alcuni sacerdoti dal tribunale di Bratislava. Restò in carcere fino al 16 aprile 1955, ma a causa delle pessime condizioni di salute morì a 38 anni, il 31 luglio.
Martirologio Romano: A Trnava in Slovacchia, Beata Sidonia (Cecilia) Schelingová, vergine della Congregazione delle Suore della Carità della Santa Croce e martire, che, in tempi di grande difficoltà per la Chiesa nella sua nazione, molto patì nel corpo e nello spirito per aver protetto un sacerdote e, colpita infine da malattia, rifulse quale instancabile e gioiosa testimone di Cristo.
Nel suo 102° viaggio apostolico per il mondo, Papa Giovanni Paolo II il 14 settembre 2003, ha beatificato con una solenne celebrazione tenuta a Bratislava in Slovacchia, la suora Zdenka Cecilia Schelingova e il vescovo Vasil’ Hopko ambedue martiri slovacchi, testimoni del nostro tempo.
Il Papa ha invitato i presenti e tutto il popolo slovacco, a rivolgere lo sguardo alla Croce, perché in quel giorno si celebrava appunto nella liturgia cattolica l’Esaltazione della Santa Croce, indicando ancora una volta alla Chiesa e al mondo la misteriosa fecondità di quel legno, sul quale: “s’incontrano la miseria dell’uomo e la misericordia di Dio.
È certamente la meditazione di questo grande e mirabile mistero, che ha sostenuto i due Beati nella scelta di vita consacrata e particolarmente, nelle sofferenze affrontate durante la terribile prigionia.
Entrambi rifulgono davanti a noi come esempi luminosi di fedeltà; in tempi di dura e spietata persecuzione religiosa il vescovo Vasil’ non ha mai rinnegato il suo attaccamento alla Chiesa Cattolica e al Papa e suor Zdenka non ha esitato a mettere a repentaglio la sua stessa vita per aiutare i ministri di Dio”.
E alla presenza di tanti vescovi, qualche cardinale, sacerdoti e suore, ancora viventi, testimoni e vittime di quella che fu la “Chiesa del silenzio” chiamata pure ‘Chiesa delle catacombe del XX secolo’, esistita nei Paesi della sfera comunista dell’Unione Sovietica, il papa ha riconfermato ancora una volta la riconoscenza della Chiesa Cattolica verso questi suoi figli e verso queste terre irrigate dal sangue dei martiri di ieri e di oggi, per la fedeltà dimostrata, nonostante tutte le persecuzioni; e di cui suor Zdenka è una delle tante e forse poco conosciute figure esemplari, di cui man mano emergono il loro soffrire e il loro martirio.
Cecilia Schelingova (questo il suo nome da laica), nacque il 25 dicembre 1916 a Krivá, nel distretto di Dolny in Slovacchia, penultima di 11 figli, i suoi genitori Pavol e Zugana, onesti contadini, impartirono ai loro figli un’educazione religiosa, fondata sulla preghiera e sull’onestà nel lavoro.
Si distinse fra i compagni di scuola per diligenza, obbedienza e nella prontezza ad aiutare gli altri; attratta dalla carità e dal prodigarsi delle Suore della Carità della Santa Croce, appena quindicenne volle entrare nella loro Congregazione, con il consenso orgoglioso dei suoi familiari. Fece il suo noviziato, abbinando nel contempo la scuola infermieristica e il 30 gennaio 1937 emise i primi voti cambiando il nome in Zdenka (Sidonia). Con il diploma di infermiera svolse questa attività a Humenné e dal 1942 in poi, circondata da stima per le sue qualità, lavorò nel reparto di radiologia dell’Ospedale Statale di Bratislava con competenza, generosità e amore per gli ammalati, da molti considerata un “modello di suora e di infermiera professionale”.
Nel 1948 avvenne il cambiamento politico nell’ex Cecoslovacchia e il partito comunista incominciò una
vera e propria persecuzione contro la Chiesa Cattolica, usando discriminazioni per i fedeli, lo scioglimento di Ordini religiosi, sacerdoti e religiosi mandati ai lavori forzati, vescovi e loro collaboratori perseguitati ed imprigionati.
Anche le suore della sua Congregazione vivevano nel timore e nelle difficoltà sempre più pesanti, suor Zdenka Schelingova condivise nel suo animo, le sofferenze della Chiesa Slovacca oppressa dal regime e secondo le sue possibilità, cercò di aiutare alcuni sacerdoti in difficoltà per la loro fede.
Con grande coraggio riuscì a far fuggire il 20 febbraio 1952, un sacerdote cattolico detenuto, ma in cura presso l’ospedale, per gli esiti delle torture subite durante gli interrogatori e già destinato ai lavori forzati in Siberia.
In uno slancio offrì a Dio la sua vita per la salvezza del suo ministro; ma la cosa non era passata inosservata del tutto, per cui il regime comunista totalitario spinse la Polizia segreta di Stato, a tendere una trappola per liquidare la suora ospedaliera, da tutti benvoluta.
E così otto giorni dopo, il 29 febbraio 1952, quando suor Zdenka cercò di far scappare altri sei sacerdoti, fu scoperta ed arrestata. Subì nei giorni seguenti terribili interrogatori in carcere, con umiliazioni e torture, finché il 17 giugno 1952 fu condannata a dodici anni di carcere, con l’accusa di alto tradimento, più dieci anni di perdita dei diritti civili; fu evidente che la condanna era inflitta nell’ambito della persecuzione contro la Chiesa Cattolica e non per un attentato alla sovranità dello Stato, del resto era questa la motivazione con cui venivano condannati tanti ecclesiastici.
Pur subendo percosse e sofferenze, non provò nessun rancore verso i suoi aguzzini, anzi perdonandoli e disposta anche a morire per Dio e il bene della Chiesa. Passò da un carcere all’altro (Rimavska Sabota, Brno, Praga, Pardubice) riportandone gravi conseguenze per la sua salute; avendo timore che morisse in carcere, il 15 aprile 1955 fu rimessa in libertà, ma per la paura dovuta alla situazione politica, non venne accolta nell’ospedale di Bratislava; fu invece accettata in quello di Trnava.
Dopo poco più di tre mesi, trascorsi sopportando la malattia con umiltà ed abbandono alla volontà di Dio, morì di cancro (questo è scritto sul certificato di morte) il 31 luglio 1955, a soli 38 anni.
Nel 1970 il tribunale di Bratislava e la Corte Suprema hanno riconosciuto l’innocenza di suor Zdenka dall’infamante accusa; le sue consorelle e il popolo slovacco ricordano la sempre sorridente suora, come una religiosa che ha camminato sulla via della perfezione, imitando Cristo soprattutto nella sopportazione delle sofferenze e considerandola come martire della fede. Oggi le sue spoglie riposano nella Chiesa della Santa Croce in Podunajske Biskupice.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Zdenka Cecilia Schelingova, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (31 Luglio)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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